Grammatica del genovese: XIII. Sintassi della proposizione
Generalità
Le frasi costituite da una sola proposizione, che non dipendono da altre, esprimono da sole un messaggio di senso compiuto. Una frase semplice può svilupparsi in una o più subordinate, e in tal caso, si parla di proposizione principale (o reggente, o sovraordinata). Le frasi semplici si distinguono in enunciative, interrogative, esclamative, volitive e ottative.
Frasi enunciative
Constatano una realtà o enunciano un’affermazione o negazione. Si costruiscono per lo più con l’indicativo e non implicano necessariamente una reazione da parte dell’interlocutore: o can o l’é unna bestia [u ˈkaŋ u l e na ˈbestja] ‘il cane è un animale’; neiva [ˈnejva] ‘nevica’.
Una frase enunciativa può contenere un ordine o una preghiera. Ciò avviene con l’indicativo imperfetto o con il condizionale, quando si voglia attenuare il tono della richiesta: voeiva do vin [ˈvwejva du viŋ] ‘vorrei del vino’; me saieiva cao che ti vegnisci [me saˈjejva ˈkaːu ke ti veˈɲiʃˑi] (o m’ea cao se ti vegnivi [u m ˈeːa ˈkaːu se ti veˈɲiːvi]) ‘mi farebbe piacere se tu venissi’.
Anche in altri casi il condizionale e l’imperfetto indicativo permettono di presentare un qualsiasi dato in forma attenuata, dubitativa, potenziale:
per attenuare un rifiuto o per ridurre un’osservazione a opinione: à dî a veitæ aviæ za mangiou [a ˈdiː a vejˈtɛː aˈvjɛː za maŋˈdʒɔw] ‘veramente avrei già mangiato’; s’ea mi, no me ghe mescciava miga con quelli là [s ˈeːa mi nu me ɡe meʃˈtʃaːva ˈmiːɡa kuŋ ˈkwelˑi ˈla] ‘fossi stato io, non mi sarei immischiato troppo con loro’;
per indicare stupore, perplessità, esitazione: no me l’imaginava mai ciù de seguo [nu me l imadʒiˈnaːva maːi ˈtʃy de seˈɡyːu] ‘non l’avrei mai pensato’; no savieiva comme comportâme [nu saˈvjejva kumˑe kuŋpurˈtaːme] ‘non saprei come comportarmi’.
Frasi interrogative: I. totali e parziali
Contengono una domanda e richiedono il punto interrogativo: chi o l’é? [ki u l ˈe] ‘chi è?’, ti l’æ visto o Gioanin? [ti l ˈɛː ˈvistu u dʒwaˈniŋ] ‘hai visto Giovannino?’. Le interrogative che costituiscono una frase semplice sono dette interrogative dirette; se dipendono da una frase reggente (dimme chi o l’é [ˈdimˑe ki u l ˈe] ‘dimmi chi è’) sono dette interrogative indirette.
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Le interrogative si distinguono in:
totali, se la domanda riguarda il legame tra soggetto e predicato: t’æ visto o Gioan? [t ˈɛː ˈvistu u ˈdʒwaŋ] ‘hai visto Giovanni?’ (ossia ti l’æ visto ò no ti l’æ visto? [ti l ˈɛː ˈvistu o nu ti l ˈɛː ˈvistu] ‘lo hai visto o no?’), ti ô veu un gobelletto? [ti uː ˈvøː iŋ ɡubeˈletˑu] ‘vuoi un dolce?’ (ossia ti ô veu ò no ti ô veu? [ti uː ˈvøː o nu ti uː ˈvøː] ‘lo vuoi o non lo vuoi?’). A queste interrogazioni si risponde scì [ˈʃi] ‘sì’ o na [ˈna] ‘no’, anche se talvolta tali avverbi possono rimanere inespressi: voentea! [vweŋˈteːa] ‘volentieri!’.
parziali, quando non entra in gioco il legame soggetto-predicato, e si richiede invece una informazione su un altro elemento della frase (soggetto, oggetto o complemento indiretto): chi parla? [ki ˈpaːrla] ‘chi parla?’, cöse t’æ fæto? [ˈkɔːse t ˈɛː ˈfɛːtu] ‘che hai fatto?’, de cöse ti parli? [de ˈkɔːse ti ˈpaːrli] ‘di che parli?’. A differenza delle interrogative totali, quelle parziali sono sempre introdotte da specifici elementi interrogativi, pronomi e aggettivi (es. chi [ˈki] ‘chi’, cöse [ˈkɔːse] ‘che cosa’), o avverbi (comme [ˈkumˑe] ‘come’, donde [ˈduŋde] ‘dove’, perché [pɛrˈke] ‘perché’), anche preceduti da preposizioni o locuzioni preposizionali: fin à quande t’ò da aspëtâ? [fiŋ a ˈkwaŋde t ˈɔ d aspeːˈtaː] ‘sino a che ora dovrò aspettarti?’.
Con la frase interrogativa alternativa si prospettano due possibilità di scelta: ti stæ à Ciavai ò à Rapallo? [ti ˈstɛː a ˈtʃaːvaj o a raˈpalˑu] ‘abiti a Chiavari o a Rapallo?’.
Frasi interrogative: II. reali e fittizie
Si hanno interrogative reali quando si domanda qualcosa che non sappiamo e che vogliamo apprendere: che oa l’é? [ke ˈuːa l ˈe] ‘che ora è?’, comme ti te ciammi? [ˈkumˑe ti te ˈtʃamˑi] ‘come ti chiami?’, ti speti che l’é tanto? [ti ˈspeːti ke l ˈe ˈtaŋtu] ‘è da molto che aspetti?’.
Sono dette interrogative retoriche le frasi che non indicano una reale mancanza di informazione, ma richiedono piuttosto all’interlocutore un assenso o un diniego già implicito nella domanda: te pòsso parlâ? [te ˈpɔsˑu parˈlaː] ‘posso parlarti?’. l’interrogativa retorica che presuppone come risposta scì [ˈʃi] ‘sì’ ha spesso forma negativa.
Altre interrogative celano il contenuto della richiesta per ragioni di cortesia: frasi come ti me â dæ a sâ? [ti mj aː ˈdɛː a ˈsaː] ‘mi passi il sale?’ o scià sa miga l’oa? [ʃa ˈsa ˈmiːɡa l ˈuːa] ‘sa mica l’ora?’ sostituiscono infatti un ordine (damme a sâ [ˈdamˑe a ˈsaː] ‘dammi il sale’) o una domanda espressa in forma più diretta (che oa l’é? [ke ˈuːa l ˈe] ‘che ora è?’).
Sono dette interrogative di cortesia le formule che consentono di avviare la conversazione: comm’a va? [kumˑ a ˈva] ‘come va?’.
Posizione del soggetto nelle interrogazioni
Se la frase viene introdotta da un pronome o avverbio interrogativo, il soggetto segue di norma il verbo: cös’o mangia o teu can? [ˈkɔːs u ˈmaŋdʒa u ˈtøː ˈkaŋ] ‘cosa mangia il tuo cane?’ È possibile in realtà anticipare il soggetto quando si voglia conferirgli particolare rilievo: o teu can, cös’o mangia? [u ˈtøː ˈkaŋ ˈkɔːs u ˈmaŋdʒa] ‘il tuo cane, cosa mangia?’.
In assenza di pronome, aggettivo o avverbio interrogativo, può verificarsi l’inversione dell’ordine soggetto-predicato, con l’inserimento dei restanti elementi della frase tra l’uno e l’altro: o parte con ti, teu fræ? [u ˈpaːrte kuŋ ˈti ˈtøː ˈfrɛː] ‘parte insieme a te, tuo fratello?’. Talvolta la frase assume sfumature diverse a seconda della collocazione del soggetto: con o Gioan o canta? [u ˈdʒwaŋ u ˈkaŋta] ‘Giovanni canta?’ si mette in dubbio il fatto che Giovanni canti; con o canta o Gioan? [u ˈkaŋta u ˈdʒwaŋ] ‘canta Giovanni?’, ci si chiede se a cantare sarà proprio Giovanni oppure qualcun altro.
Se il soggetto è rappresentato da un pronome personale tonico, esso viene omesso: cöse ti fæ? [ˈkɔːse ti ˈfɛː] ‘cosa fai?’.
Modi verbali delle interrogative
l’indicativo rappresenta il modo più usuale per ogni tipo di interrogativa. Sono tuttavia possibili altre soluzioni:
I. Condizionale: cös’o diæ, se ô savesse? [ˈkɔːs u ˈdjɛː ˈsɔw saˈvesˑe] ‘che direbbe, se lo sapesse?’; scià me daieiva un chillo de pan? [ʃa me daˈjejva ŋ ˈkilˑu de ˈpaŋ] ‘mi darebbe un chilo di pane?’; ma cöse ti vorriesci fâ? [ma ˈkɔːse ti vuˈrjeːʃi ˈfaː] ‘ma che vorresti fare?’. Per lo più il condizionale ha valore dubitativo, con varie sfumature, e segnala incredulità di fronte alle intenzioni dell’interlocutore, o l’ovvietà di un’interrogazione retorica: ti vorriesci tegnîlo addescio? [ti vuˈrieːʃi teˈɲiːlu aˈdeʃˑu] ‘vorresti tenerlo sveglio?’. In tutti questi casi concorre il presente indicativo.
II. Congiuntivo. Si usa per le domande poste in forma dubitativa, in particolare al presente e introdotto o meno dalla congiunzione che [ke] ‘che’: ch’o segge [k u ˈsedʒˑe] (oppure o segge [u ˈsedʒˑe]) inta stansia? [iŋta ˈstaŋsja] ‘che sia in camera?’; ghe vagghe mi? [ɡe ˈvaɡˑe ˈmi] ‘ci vado io?’ (nel senso di ‘dovrei andarci io?’). Tali frasi dubitative si possono costruire anche con il futuro indicativo: o saià inta stansia? [u saˈja iŋta ˈstaŋsja] ‘sarà in camera?’.
Spesso la frase interrogativa è priva di predicato verbale, ad esempio quando si adopera una formula per sollecitare l’interlocutore a concludere o a chiarire il suo pensiero: e aloa? [e aˈluːa] ‘e allora?’.
Frasi esclamative
Una frase enunciativa può trasformarsi in esclamativa se l’asserzioneè contrassegnata da un sentimento particolare (di sopresa, ammirazione, disappunto, ecc.). Tale enfasi è sottolineata dall’uso del punto esclamativo, ma vi sono anche elementi specifici che introducono una proposizione esclamativa: pronomi o aggettivi (che bella sorpreisa! [ke ˈbɛlˑa surˈprejza] ‘che bella sorpresa!’) o avverbi (comme l’é vegnuo neutte! [ˈkumˑe l e veˈɲyːu ˈnøtˑe] o mai neutte che l’é vegnuo! [ˈmaːi ˈnøtˑe ke l ˈe veˈɲyːu] ‘come si è fatto buio!’). Oltre che con l’indicativo, le frasi esclamative si costruiscono con i seguenti modi verbali:
I. l’imperativo ha valore esclamativo quando è usato per esprimere un augurio o un’imprecazione: anævene! [aˈnɛːvene] ‘andatevene!’.
II. L’infinito esprime una gran varietà di sfumature: pensâ ch’o l’ea un coscì bravo garson! [peŋˈsaː k u l ˈeːa ŋ kuˈʃi ˈbraːvu ɡarˈsuŋ] ‘pensare che era un così bravo ragazzo!’, fâ unna cösa pægia, pròpio mi! [ˈfaː na ˈkɔːsa ˈpɛːdʒa ˈprɔpˑju ˈmi] ‘io, fare una cosa del genere?’.
III. Congiuntivo imperfetto, adoperato da solo o preceduto da se [se] ‘se’: ti savesci comm’o gh’é arrestou mâ! [ti saˈveʃˑi ˈkumˑ u ɡ ˈe aresˈtɔw ˈmaː] ‘se tu sapessi come è rimasto colpito!’, se ti veddesci comm’o l’é cresciuo! [se ti veˈdeʃˑi ˈkumˑ u l ˈe kreˈʃyːu] ‘vedessi com’è cresciuto!’.
Frasi volitive e ottative
Si tratta di frasi che contengono un ordine, un consiglio, una esortazione, una invocazione (frasi volitive), o un desiderio (frasi ottative). Queste frasi possono essere costruite con i quattro modi verbali finiti (imperativo, congiuntivo, condizionale e indicativo), e con l’infinito.
I. Imperativo. È il modo più frequente per esprimere una frase volitiva: taxi, no stâ à dî atro! [ˈtaːʒi nu ˈstaː a ˈdiː ˈaːtru] ‘taci, non aggiungere altro!’.
II. Congiuntivo. Il congiuntivo presente ‘esortativo’ sostituisce l’imperativo alle persone diverse dalla seconda e dalla quinta: scià ghe dagghe quarcösa [ˈʃa ɡe ˈdaɡˑe kwarˈkɔːsa] ‘gli dia qualcosa’.
Analogo è l’uso del congiuntivo ‘permissivo’ o di cortesia, che si alterna anch’esso con l’imperativo e che può essere introdotto da che [ke] ‘che’: scià vëgne! [ʃa ˈveːɲe] ‘venga avanti!’.
Il congiuntivo imperfetto, introdotto o meno da se ‘se’, si adopera anche per esprimere un desiderio: foïse veo! [ˈfwiːse ˈveːu] ‘fosse vero!’ se a-o manco o stesse sitto! [s ˈɔw ˈmaŋku u ˈstesˑe ˈsitˑu] ‘se almeno tacesse!’, s’o se n’andesse! [s u se n aŋˈdesˑe] ‘se se ne andasse!’. Può essere sostituito dall’imperfetto indicativo introdotto da se ‘se’: se restava da voiatri! [se resˈtaːva da vujˈaːtri] ‘se fossi rimasto con voi!’, s’o stava sitto! [s u ˈstaːva ˈsitˑu] ‘se tacesse’; s’o se n’andava! [s u se n aŋˈdaːva] ‘se se ne andasse!’.
III. Il condizionale si usa per esprimere un desiderio: me saieiva cao restâ chì con ti [me saˈjejva ˈkaːu resˈtaː ˈki kuŋ ˈti] ‘mi piacerebbe restare qui con te’. Il condizionale composto, riferito al passato, si usa per i desideri irrealizzati: peccou, l’aviæ vosciuo vedde [peˈkɔw l aˈvjɛː vuˈʃyːu ˈvedˑe] ‘peccato, avrei voluto vederlo!’; può essere sostituito dall’imperfetto indicativo: peccou, ô veddeiva voentea [peˈkɔw uː veˈdejva vweŋˈteːa] ‘peccato, l’avrei visto volentieri!’.
IV. Indicativo. Oltre ai casi già citati, può sostituire l’imperativo o il congiuntivo esortativo per presentare una frase come un’enunciazione neutra: scià me dà un etto de xambon [ʃa me ˈda n ˈɛtˑu de ʒaŋˈbuŋ] ‘mi dia un etto di prosciutto’.
l’indicativo presente o futuro, può esprimere un comando in forma attenuata rispetto all’imperativo: ti ghe væ ti [ti ɡe ˈvɛː ˈti] (o ti gh’aniæ ti [ti ɡ aˈnjɛː ˈti]), se mi no pòsso [se ˈmi nu ˈpɔsˑu] ‘ci andrai tu, se io non posso’.
V. Infinito. Fa le veci dell’imperativo nelle frasi negative (con stâ [ˈstaː]: no stâ à parlâ [nu ˈstaː a parˈlaː] ‘non parlare’), ma, nella forma composta, può trovarsi anche in frasi affermative: aveilo sacciuo, no partivimo manco [aˈvejlu saˈtʃyːu nu parˈtiːvimu ˈmaŋku] ‘ad averlo saputo, non valeva neppure la pena di mettersi in viaggio’.