Grammatica del genovese: Il verbo
Generalità
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Il verbo è una parola variabile che indica:
un’azione che il soggetto può compiere (o can o mangia [u ˈkaŋ u ˈmaŋdʒa] ‘il cane mangia’) o subire (o ratto o l’é mangiou da-o gatto [u ˈratˑu u l ˈe maŋˈdʒɔw dɔw ˈɡatˑu] ‘il topo viene mangiato dal gatto’);
l’esistenza in sé o lo stato del soggetto (mi son [mi ˈsuŋ] ‘io sono’);
il rapporto tra il soggetto e il nome del predicato (o Carlo o l’é vegio [u ˈkaːrlu u l ˈe ˈveːdʒu] ‘Carlo è vecchio’).
Come verbi si comportano anche alcune locuzioni (locuzioni verbali) che possono comprendere un nome, un aggettivo, una preposizione: avei mestê [aˈvej mesˈteː] ‘aver bisogno’, anâ à cavallo [aˈnaː a kaˈvalˑu] ‘andare a cavallo’, fâse bello [ˈfaːse ˈbelˑu] ‘farsi bello’, stâ sciù [ˈstaː ʃy] ‘alzarsi’, mette poia [ˈmetˑe ˈpwiːa] ‘spaventare’, dâ a mente [ˈdaː a ˈmeŋte] ‘ascoltare’, ecc.
I verbi sogliono essere distinti in transitivi, che ammettono un complemento oggetto (o Franco o scrive unna lettia [u ˈfraŋku u ˈskriːve inˑa ˈletˑja] ‘Franco scrive una lettera’) e intransitivi, che non ammettono un complemento oggetto (a Luisa a dòrme [a ˈlwiːza a ˈdɔːrme] ‘Luisa dorme’).
Qualsiasi verbo transitivo può essere usato senza complemento oggetto (assolutamente): o Franco o scrive [u ˈfraŋku u ˈskriːve] ‘Franco scrive’; inoltre, in molti verbi intransitivi l’azione passa sul complemento di termine; infine, anche un verbo intransitivo può reggere un complemento diretto (complemento dell’oggetto interno). In molti casi un verbo si può usare alternativamente come transitivo o intransitivo a seconda del significato o del contesto (passime a sâ [ˈpasime a ˈsaː] ‘passami il sale’ / e oe passan [e ˈuːe ˈpasaŋ] ‘le ore passano’; giâ o mondo [ˈdʒjaː u ˈmuŋdu] ‘girare il mondo’ / a banderòlla a gia [a baŋdeˈrɔlˑa a ˈdʒiːa] ‘la ventola gira’); talvolta il significato muta a seconda che il verbo sia costruito con un complemento oggetto o con un complemento indiretto. Diversi verbi di movimento, in genere intransitivi, possono assumere la funzione di transitivi: sciortî e vacche de d’inta stalla [ʃurˈtiː e ˈvakˑe de dˈiŋta ˈstalˑa] ‘far uscire le mucche dalla stalla’; montâ o prexo [muŋˈtaː u ˈpreːʒu] ‘alzare il prezzo’.
I verbi possono essere distinti tra predicativi, che esprimono un senso compiuto (corrî [kuˈriː] ‘correre’, mangiâ [maŋˈdʒaː] ‘mangiare’, dormî [durˈmiː] ‘dormire’), e copulativi che, come ëse [ˈeːse] ‘essere’, non hanno un significato proprio. Tra i verbi copulativi si distinguono poi i verbi effettivi (stâ [ˈstaː] ‘stare’, vegnî [veˈɲiː] ‘venire’, pai [ˈpaj] ‘sembrare’ ecc.), appellativi (ciammâ [tʃaˈmaː] ‘chiamare’, ecc.), elettivi (creâ [kreˈaː] ‘creare’, nominâ [numiˈnaː] ‘nominare’, ecc.), estimativi (consciderâ [kuŋʃideˈraː] ‘considerare’, credde [ˈkredˑe] ‘credere’, ecc.).
Il modo
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Il modo indica la maniera in cui il parlante presenta l’azione o lo stato espressi dal verbo. I modi veri e propri sono quelli finiti:
l’indicativo, che presenta un fatto nella sua obiettività (i figgeu mangian i fidê [i fiˈdʒøː ˈmaŋdʒaŋ i fiˈdeː] ‘i ragazzi mangiano la pasta’);
il congiuntivo, che esprime il dubbio, la possibilità, il desiderio, l’esortazione (se ti vegnisci ti ascì! [se ti veˈɲiʃˑi ti aˈʃi] ‘se venissi anche tu!’);
il condizionale, che esprime un’azione condizionata, per lo più indipendente dalla volontà del soggetto, e che può essere reale o virtuale (me gustieiva fermâme chì [me ɡysˈtjejva ferˈmaːme ˈki] ‘mi piacerebbe fermarmi qui’); e
l’imperativo, che esprime un comando, un’esortazione, una preghiera (fermite [ˈfɛːrmite] ‘fermati’).
Le tre forme nominali del verbo, l’infinito, il participio e il gerundio, sono dette modi indefiniti.
Il tempo
Il tempo qualifica il momento in cui il parlante colloca l’azione espressa dal verbo, o assolutamente (vaggo à Rapallo [ˈvaɡˑu a raˈpalˑu] ‘vado a Rapallo’) o relativamente a un certo termine di riferimento (vaggo à Rapallo depoidisnâ [ˈvaɡˑu a raˈpalˑu deˌpwidiˈznaː] ‘vado a Rapallo questo pomeriggio’). I tempi si distinguono in semplici (costituiti da una sola forma) e composti (verbo ausiliare più participio passato).
La persona
La persona stabilisce una relazione tra il verbo e il parlante (mi [ˈmi] ‘io’), l’interlocutore (ti [ˈti] ‘tu’), una terza persona (lê [ˈleː] ‘egli’), una pluralità di persone che comprende anche il parlante (niatri [niˈaːtri] ‘noi’), l’interlocutore (viatri [viˈaːtri] ‘voi’) o nessuno dei due (lô [ˈluː] ‘essi’). La persona è riconoscibile solo nei modi finiti.
La diatesi
Indica la relazione del verbo con il soggetto e l’oggetto. Può essere attiva, se il soggetto coincide con chi agisce, passiva se l’agente non è il soggetto, riflessiva, se soggetto e oggetto coincidono. La diatesi passiva e quella riflessiva si hanno solo con i verbi transitivi: lavo [ˈlaːvu] ‘lavo’, son lavou [sun laˈvɔw] ‘sono lavato’, me lavo [me ˈlaːvu] ‘mi lavo’.
Verbi passivi
Il passivo è espresso di norma attraverso l’ausiliare ëse [ˈeːse] ‘essere’ coniugato nel modo, tempo e persona propri della corrispondente forma attiva, e accompagnato dal participio passato: mi ammo [mi ˈamˑu] ‘io amo’ / mi son ammou [ˈmi suŋ aˈmɔw] ‘io sono amato’; voiatri pregæ [vwjˈaːtri preˈɡɛː] ‘voi pregate’ / saiei pregæ [saˈjej preˈɡɛː] ‘sarete pregati’.
Altri modi per rendere la diatesi passiva:
I. Il se [se] ‘si’ passivante: è costituito dal pronome se [se] ‘si’ abbinato alla terza persona di un verbo transitivo attivo (di tempo semplice), anche se l’oggetto è al plurale o espresso dalla sesta persona: s’appixoña un magazzin [s apiˈʒuŋˑa ŋ maɡaˈziŋ] ‘si affitta un magazzino’, s’appixoña di magazzin [s apiˈʒuŋˑa di maɡaˈziŋ] ‘si affittano magazzini’. Il se [se] ‘si’ passivante è più frequente quando non è espresso l’agente e quando il soggetto è rappresentato da un essere inanimato. Spesso questo costrutto esprime un dovere o un obbligo: in casa mæ sti discorsci no se fan [iŋ ˈkaːza ˈmɛː sti disˈkurʃi nu se ˈfaŋ] ‘in casa mia questi discorsi non si fanno’.
Inoltre, con un verbo già passivo che ha l’ausiliare di tempo semplice, il se [se] ‘si’ proietta l’azione al corrispondente verbo composto: no s’é mai visto ninte de pægio [nu s ˈe ˈmaːi ˈvistu ˈniŋte de ˈpɛːdʒu] ‘non si è mai visto nulla di simile’.
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II. L’uso di andâ [aŋˈdaː] o anâ [aˈnaː] ‘andare’ (limitatamente ai tempi semplici, e senza possibilità di esprimere il complemento d’agente), quando esso comporta:
un valore passivo con alcuni verbi tutti dal risultato negativo: perde [ˈpɛːrde] ‘perdere’, destrue [desˈtryːe] ‘distruggere’, ascordâ [askurˈdaː] ‘dimenticare’, ecc.; in tal caso sono in uso solo la terza e la sesta persona: un libbro vegio ch’o l’é anæto perso [iŋ ˈlibˑru ˈveːdʒu k u l ˈe aˈnɛːtu ˈpɛˑrsu] ‘un vecchio libro che è andato perduto’;
l’idea di opportunità. dovere. necessità: a l’é ‘na cösa ch’a no va fæta [a l ˈe na ˈkɔːsa k a nu va ˈfɛːta] ‘è una cosa che non va fatta’;
una modifica di affermazioni precedenti: va dito che no gh’ea nisciun motivo [va ˈdiːtu ke nu ɡ ˈeːa niˈʃyŋ muˈtiːvu] ‘va aggiunto che non ce n’era motivo’.
Verbi pronominali
Il tipo fondamentale di verbo pronominale, cioè combinato con un pronome personale atono, è quello riflessivo. Si definisce riflessivo diretto il tipo in cui soggetto e oggetto coincidono: me lavo [me ˈlaːvu] ‘mi lavo’, o se veste [u se ˈveste] ‘si veste’. Altri tipi di verbi pronominali sono:
I. I riflessivi reciproci, che esprimono un’azione che due o più soggetti compiono e al tempo stesso scambievolmente subiscono. Tale forma di riflessivo è possibile solo con le persone plurali: o Gioan e a Maria se saluan [u ˈdʒwaŋ e a maˈriːa se saˈlyːaŋ] ‘Giovanni e Maria si salutano’.
II. I riflessivi indiretti, in cui l’azione verbale si svolge a beneficio (o per sua iniziativa) del soggetto senza riflettersi direttamente su di lui: me domando s’ò fæto ben [me duˈmaŋdu s ˈɔ ˈfɛːtu ˈbeŋ] ‘mi chiedo se ho fatto bene’; o s’à bruttou e moen de cäçiña [u s ˈa bryˈtɔw e ˈmwɛŋ de kaːˈsiŋˑa] ‘si è sporcato le mani di calce’.
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III. Intransitivi pronominali: verbi nei quali il pronome atono rappresenta una semplice componente del verbo (me pento [me ˈpeŋtu] ‘mi pento’, m’arregòrdo [m areˈɡɔːrdu] ‘mi ricordo’). Questi verbi vanno divisi in tre gruppi:
verbi nei quali l’uso del pronome atono è obbligatorio (accòrzise [aˈkɔːrzise] ‘accorgersi’, arraggiâse [araˈdʒaːse] ‘arrabbiarsi’, lagnâse [laˈɲaːse] ‘lagnarsi’, ecc.);
verbi nei quali l’uso del pronome atono è facoltativo (arrembâ, -âse [areŋˈbaː(se)] ‘accostare, -arsi’, profittâ, -âse [prufiˈtaː(se)] ‘approfittare, -rsi’, arregordâ, -âse [areɡurˈdaː(se)] ‘ricordare, -rsi’, assettâ, -âse [aseˈtaː(se)] ‘sedere, -rsi’, despuggiâ, -âse [despyˈdʒaː(se)] ‘spogliare, -rsi’, ecc.): molti di questi verbi si adoperano anche come transitivi;
verbi che ammettono anche un utilizzo come transitivi: addormîse [adurˈmiːse] ‘addormentarsi’, arsâse [arˈsaːse] ‘alzarsi’, insciâse [iŋˈʃaːse] ‘gonfiarsi’, imbarcâse [iŋbarˈkaːse] ‘imbarcarsi’, mäveggiâse [maːveˈdʒaːse] ‘meravigliarsi’, ecc.
L’aspetto
L’aspetto è il modo di rappresentare il processo verbale nella sua durata, nel suo svolgimento, nel suo compimento. Così, ad esempio, la differenza tra scrivo [ˈskriːvu] ‘scrivo’ e son appreuvo à scrive [suŋ aˈprøːvu a ˈskriːve] ‘sto scrivendo’ non appartiene al tempo (sono entrambi presenti), ma all’aspetto, rispettivamente durativo e progressivo. Per esprimere l’aspetto il genovese ricorre non solo a mezzi morfologici, ma anche a mezzi lessicali (addormîse [adurˈmiːse] ‘addormentarsi’ indica ad esempio l’inizio dell’azione, mentre dormî [durˈmiː] ‘dormire’ ha valore durativo) o a derivazioni mediante suffissi: cantâ [kaŋˈtaː] ‘cantare’ / cantettâ [kaŋteˈtaː] ‘canticchiare’, spitoâ [spiˈtwaː] ‘raccogliere le olive’ / spitoellâ [spitweˈlaː] ‘raccogliere le olive con trascuratezza, in un atto momentaneo che non implica il lavoro completo’.
Verbi ausiliari, servili, fraseologici
Accanto a un loro uso e significato autonomi, i verbi ausiliari svolgono una funzione vicaria nei confronti di qualsiasi altro verbo, individuando una determinazione morfologica (diatesi o tempo: ausiliari propriamente detti), un valore semantico (servili) o un elemento aspettuale (fraseologici).
Ausiliari propriamente detti
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Si tratta dei verbi ëse [ˈeːse] ‘essere’ e avei [aˈvej] ‘avere’, che permettono la formazione di tempi composti con valore di passato, rispettivamente:
per la maggioranza dei verbi intransitivi, per quasi tutti i verbi impersonali, per tutti quelli riflessivi e intransitivi pronominali (arrivo [aˈriːvu] ‘arrivo’ → son arrivou [suŋ ariˈvɔw] ‘sono arrivato’; paiva [ˈpajva] ‘sembrava’ → l’ea parsciuo [l ˈeːa parˈʃyːu] ‘era sembrato’; me lavo [me ˈlaːvu] ‘mi lavo’ → me son lavou [me suŋ laˈvɔw] ‘mi sono lavato’; m’accòrzo [m aˈkɔːrzu] ‘mi accorgo’ → me son accòrto [me ˈsuŋ aˈkɔːrtu] ‘mi sono accorto’);
per tutti i verbi transitivi e un certo numero di intransitivi riflessivi indiretti (pòrto [ˈpɔːrtu] ‘porto’ → ò portou [ɔ purˈtɔw] ‘ho portato’; dormî [durˈmiː] ‘dormire’ → ò dormio [ɔ durˈmiːu] ‘ho dormito’; me lavo ‘mi lavo’ → m’ò lavou e moen [m ɔ laˈvɔw e ˈmwɛːŋ] ‘mi sono lavato le mani’);
Il verbo ëse ‘essere’ forma inoltre il passivo: pòrto [ˈpɔːrtu] ‘porto’ → son portou [suŋ purˈtɔw] ‘sono portato’.
La scelta dell’ausiliare non comporta ambiguità con i verbi transitivi (gli ausiliari ëse [ˈeːse] ‘essere’ e avei [aˈvej] ‘avere’ indicano rispettivamente la diatesi passiva e il tempo passato). Per quanto riguarda i pronominali:
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I verbi pronominali retti all’infinito da un verbo servile o fraseologico, richiedono ëse [ˈeːse] ‘essere’ se il pronome atono precede i due verbi (o s’é dovuo accòrze [u s ˈe duˈvyːu aˈkɔːrze] ‘si è dovuto accorgere’), avei [aˈvej] ‘avere’ se il pronome è enclitico (o l’à dovuo accòrzise [u l ˈa duˈvyːu aˈkɔːrzise] ‘ha dovuto accorgersi’);
l’uso di avei [aˈvej] ‘avere’ in luogo di ëse [ˈeːse] ‘essere’ con verbi intransitivi è limitato ai cosiddetti riflessivi indiretti, nei quali il pronome personale non funziona come oggetto, ma come complemento di attribuzione: m’ò bevuo un gòtto de vin [m ˈɔ beˈvyːu ŋ ˈɡɔtˑu de ˈviŋ] ‘ho bevuto un bicchier di vino’; m’ò piggiou un refreidô [m ˈɔ piˈdʒɔw ŋ refrejˈduː] ‘ho preso un raffreddore’.
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L’uso dell’ausiliare oscilla nella determinazione del passato. In generale la coniugazione con avei [aˈvej] ‘avere’ corrisponde a un soggetto attivo, con ëse [ˈeːse] ‘essere’ si coglie semplicemente lo stato in cui si trova il soggetto:
impiegano l’ausiliare avei [aˈvej] ‘avere’ i verbi che esprimono un’attività, come camminâ [kamiˈnaː] ‘camminare’, cavarcâ [kavarˈkaː] ‘cavalcare’, giâ [ˈdʒjaː] ‘girare’, navegâ [naveˈɡaː] ‘navigare’, manezzâ [maneˈzaː] ‘maneggiare’, sätâ [saːˈtaː] ‘saltare’, barchezzâ [barkeˈzaː] ‘barcheggiare’, bordezzâ [burdeˈzaː] ‘bordeggiare’, miägnâ [mjaːˈɲaː] ‘miagolare’, cianze [ˈtʃaŋze] ‘piangere’, parlâ [parˈlaː] ‘parlare’, cantâ [kaŋˈtaː] ‘cantare’, rie [ˈriːe] ‘ridere’, stranuâ [stranyˈaː] ‘starnutire’, tremmoâ [treˈmwaː] ‘tremare’, respiâ [resˈpjaː] ‘respirare’, ronfâ [ruŋˈfaː] ‘russare’, ansciâ [aŋˈʃaː] ‘ansimare’, barbottâ [barbuˈtaː] ‘borbottare’, disnâ [dizˈnaː] ‘pranzare’, çenâ [seˈnaː] ‘cenare’, dormî [durˈmiː] ‘dormire’, e i verbi impersonali relativi agli eventi meteorologici (questi ultimi in alternativa a ëse [ˈeːse] ‘essere’): l’à tronou [l ˈa truˈnɔw] ‘è tuonato’, l’à nevou [l ˈa neˈvɔw] ‘è nevicato’, l’à ciuvuo [l ˈa tʃyˈvyːu] ‘è piovuto’;
l’ausiliare ëse [ˈeːse] ‘essere’ è usato con i verbi che indicano l’effetto raggiunto: anâ [aˈnaː] ‘andare’, vegnî [veˈɲiː] ‘venire’, partî [parˈtiː] ‘partire’, arrivâ [ariˈvaː] ‘arrivare’, chinâ [kiˈnaː] ‘scendere’, montâ [muŋˈtaː] ‘salire’, intrâ [iŋˈtraː] ‘entrare’, sciortî [ʃurˈtiː] ‘uscire’, passâ [paˈsaː] ‘passare’, stâ [ˈstaː] ‘stare’, arrestâ [areˈstaː] ‘restare’, tornâ [turˈnaː] ‘tornare’, scappâ [skaˈpaː] ‘scappare’, arriescî [arjeˈʃiː] ‘riuscire’, cazze [ˈkazˑe] ‘cadere’, meuiâ [møˈjaː] ‘maturare’, marsî [marˈsiː] ‘marcire’, scciuppâ [ʃtʃyˈpaː] ‘scoppiare’, scentâ [ʃeŋˈtaː] ‘sparire’, ecc. Alcuni di questi verbi, che possono essere usati anche come transitivi, assumono naturalmente, in questo caso, l’ausiliare avei [aˈvej] ‘avere’: a l’à montou a pixon [a l ˈa muŋˈtɔw a piˈʒuŋ] ‘ha aumentato l’affitto’; emmo montou e scæ [ˈemˑu muŋˈtɔw e ˈskɛː] ‘abbiamo salito le scale’: allo stesso modo, i verbi che possono indicare sia un’azione che uno stato assumono di volta in volta i due ausiliari: ò finio de travaggiâ [ɔ fiˈniːu de travaˈdʒaː] ‘ho finito di lavorare’ / a giornâ a l’é finia [a dʒurˈnaː a l ˈe fiˈniːa] ‘la giornata è finita’;
i principali verbi servili, dovei [duˈvej] ‘dovere’, poei [ˈpwej] ‘potere’, voei [ˈvwej] ‘volere’, che reggono un verbo all’infinito, prendono preferibilmente (ma non obbligatoriamente) l’ausiliare avei [aˈvej] ‘avere’, qualunque sia l’ausiliare che si usa col verbo retto: ò vosciuo camminâ [ɔ vuˈʃyːu kamiˈnaː] ‘ho voluto camminare’, no ò posciuo vegnî [nu ɔ puˈʃyːu veˈɲiː] ‘non ho potuto venire’.
L’ausiliare precede il participio a cui si riferisce: ò dito [ɔ ˈdiːtu] ‘ho detto’, semmo anæti [ˈsemˑu aˈnɛːti] ‘siamo andati’. Tra ausiliare e participio possono però interporsi avverbi (semmo giusto arrivæ [ˈsemˑu ˈdʒystu ariˈvɛː] ‘siamo appena arrivati’) o congiunzioni.
Verbi servili
I verbi servili (poei [ˈpwej] ‘potere’, dovei [duˈvej] ‘dovere’, voei [ˈvwej] ‘volere’ e in parte savei [saˈvej] ‘sapere’) reggono direttamente un infinito, con il quale condividono il soggetto, e non richiedono una collocazione fissa dei pronomi atoni, che possono essere di volta in volta proclitici (prima del verbo servile) o enclitici (dopo l’infinito): te devo dî [te ˈdeːvu ˈdiː] ‘ti devo dire’; devo dîte [ˈdeːvu ˈdiːte] ‘devo dirti’. La posizione proclitica è peraltro più usuale.
I verbi servili qualificano una particolare modalità dell’azione, incentrata sulla possibilità (poei [ˈpwej] ‘potere’), sulla necessità (dovei [duˈvej] ‘dovere’), sulla volontà (voei [ˈvwej] ‘volere’). I verbi dovei [duˈvej] ‘dovere’ e poei [ˈpwej] ‘potere’ attribuiscono al verbo un valore legato alla valutazione obiettiva di un fatto, presentato come probabile (con dovei [duˈvej] ‘dovere’) o come possibile (con poei [ˈpwej] ‘potere’), o alla situazione in cui un’azione dipende dalla volontà, dal desiderio o dal bisogno di un altro soggetto, diverso da quello del verbo modale: dovei [duˈvej] ‘dovere’ in tal caso indica un obbligo, poei [ˈpwej] ‘potere’ un permesso.
Dovei [duˈvej] ‘dovere’ + infinito può assumere il valore di un vero e proprio futuro: devo compî dïxeutt’anni à zenâ [ˈdeːvu kuŋˈpiː diːˈzøːt ˈanˑi a zeˈnaː] ‘compirò diciott’anni a gennaio’; a l’ea unna bæga ch’a doveiva scciuppâ [a l ˈeːa inˑa ˈbɛːɡa k a duˈvejva ʃtʃyˈpaː] ‘era una situazione che doveva esplodere’ (futuro del passato).
In questo caso, al posto di dovei [duˈvej] ‘dovere’ è d’uso assai più comune avei [aˈvej] ‘avere’ + da [da] ‘da’ + infinito, che indica un’azione proiettata al futuro: ò da scrive à mæ fræ [ˈɔ da ˈskriːve a ˈmɛː ˈfrɛː] ‘devo scrivere a mio fratello’, no veuggio avei ciù da vergognâme [nu ˈvødʒˑu aˈvej tʃy da verɡuˈɲaːme] ‘non voglio dovermi vergognare ancora’.
Verbi fraseologici
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Non hanno significato proprio, e in unione con un altro verbo all’infinito indicano un particolare aspetto dell’azione; in particolare, diversi costrutti con verbi fraseologici sostituiscono in genovese le funzioni del gerundio e di stare + gerundio (cfr. 161). Esempi di verbi fraseologici:
imminenza di un’azione: stâ pe … [ˈstaː pe] ‘stare per’, ëse lì pe … [ˈeːse li pe] ‘essere sul punto di’;
inizio di un’azione: comensâ à … [kumeŋˈsaː a] ‘cominciare a’, mettise à … [ˈmetise a] ‘mettersi a’;
svolgimento di un’azione: ëse apreuvo [ˈeːse aˈprøːvu] o derê à [deˈreː a] ‘essere intenti a’; uso assai raro è stâ [ˈstaː] ‘stare’ + gerundio (cfr. 161);
continuità di un’azione: continuâ à … [kuŋtiˈnwaː a], anâ avanti à … [aˈnaː aˈvaŋti a] ‘continuare a’, prescistî into … [preʃisˈtiː iŋtu] ‘insistere nel’; questi stessi verbi, secondo una costruzione oggi poco usata, possono essere accompagnati da un gerundio: continuâ cantando [kuŋtiˈnwaː kaŋˈtaŋdu] ‘continuare a cantare’, anâ avanti mogognando [aˈnaː avaŋti muɡuˈɲaŋdu] ‘continuare a protestare’.
conclusione di un’azione: finî de … [fiˈniː de] ‘finire di’, ciantâla lì de … [tʃaŋˈtaːla li de] ‘smettere di’.
La coniugazione
Si è soliti raggruppare i verbi genovesi in quattro coniugazioni sulla base dell’infinito: cantâ [kaŋˈtaː] ‘cantare’ (prima coniugazione), taxei [taˈʒej] ‘tacere’ (seconda coniugazione), batte [ˈbatˑe] ‘battere’ (terza coniugazione), servî [serˈviː] ‘servire’ (quarta coniugazione).
In un verbo si può distinguere tra la radice, cant-, e la desinenza che esprime le caratteristiche di modo, tempo e persona, -â.
Ëse ‘essere’ e avei ‘avere’
Segue il paradigma completo dei due verbi che, venendo adoperati come ausiliari di tutti gli altri, si possono considerare basilari per la coniugazione genovese.
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Coniugazione di ëse [ˈeːse] ‘essere’.
Indicativo
Presente mi son [ˈsuŋ] ‘io sono’ ti t’ê [t ˈeː] ‘tu sei’ lê o l’é [u l ˈe] ‘egli è’,
a l’é [a l ˈe] ‘ella è’niatri semmo [ˈsemˑu] ‘noi siamo’ viatri sei [ˈsej] ‘voi siete’ lô son [ˈsuŋ],
en [ˈeŋ] ‘essi sono’Imperfetto mi ea [ˈeːa] ‘io ero’ ti t’ëi [t ˈeːi] ‘tu eri’ lê o l’ea [u l ˈeːa] ‘egli era’ niatri eimo [ˈejmu],
emo [ˈeːmu] ‘noi eravamo’viatri ëi [ˈeːi] ‘voi eravate’ lô ean [ˈeːaŋ] ‘essi erano’ Futuro semplice mi saiò [saˈjɔ] ‘io sarò’ ti ti saiæ [ti saˈjɛː] ‘tu sarai’ lê o saià [u saˈja] ‘egli sarà’ niatri saiemo [saˈjeːmu] ‘noi saremo’ viatri saiei [saˈjej] ‘voi sarete’ lô saian [saˈjaŋ] ‘essi saranno’ Passato prossimo mi son stæto [ˈsuŋ ˈstɛːtu] ‘io sono stato’ ti t’ê stæto [t ˈeː ˈstɛːtu] ‘tu sei stato’ lê o l’é stæto [u l ˈe ˈstɛːtu] ‘egli è stato’ niatri semmo stæti [ˈsemˑu ˈstɛːti] ‘noi siamo stati’ viatri sei stæti [ˈsej ˈstɛːti] ‘voi siete stati’ lô son stæti [ˈsuŋ ˈstɛːti],
en stæti [ˈeŋ ˈstɛːti] ‘essi sono stati’Trapassato prossimo mi ea stæto [ˈeːa ˈstɛːtu] ‘io ero stato’ ti t’ëi stæto [t ˈeːi ˈstɛːtu] ‘tu eri stato’ lê o l’ea stæto [u l ˈeːa ˈstɛːtu] ‘egli era stato’ niatri eimo stæti [ˈejmu ˈstɛːti],
emo stæti [ˈeːmu ˈstɛːti] ‘noi eravamo stati’viatri ëi stæti [ˈeːi ˈstɛːti] ‘voi eravate stati’ lô ean stæti [ˈeːan ˈstɛːti] ‘essi erano stati’ Futuro anteriore mi saiò stæto [saˈjɔ ˈstɛːtu] ‘io sarò stato’ ti ti saiæ stæto [ti saˈjɛː ˈstɛːtu] ‘tu sarai stato’ lê o saià stæto [u saˈja ˈstɛːtu] ‘egli sarà stato’ niatri saiemo stæti [saˈjeːmu ˈstɛːti] ‘noi saremo stati’ viatri saiei stæti [saˈjej ˈstɛːti] ‘voi sarete stati’ lô saian stæti [saˈjaŋ ˈstɛːti] ‘essi saranno stati’ Congiuntivo
Presente che mi segge [ˈsedʒˑe] ‘che io sia’ che ti ti seggi [ti ˈsedʒˑi] ‘che tu sia’ che lê o segge [u ˈsedʒˑe] ‘che egli sia’ che niatri seggimo [ˈsedʒimu] ‘che noi siamo’ che viatri seggei [seˈdʒej],
seggiæ [seˈdʒɛː] ‘che voi siate’che lô seggian [ˈsedʒˑaŋ] ‘che essi siano’ Imperfetto che mi foïse [ˈfwiːse] ‘che io fossi’ che ti ti foïsci [ti ˈfwiːʃi] ‘che tu fossi’ che lê o foïse [u ˈfwiːse] ‘che egli fosse’ che niatri foïscimo [ˈfwiːʃimu] ‘che noi fossimo’ che viatri foïsci [ˈfwiːʃi] ‘che voi foste’ che lô foïsan [ˈfwiːsaŋ] ‘che essi fossero’ Passato che mi segge stæto [ˈsedʒˑe ˈstɛːtu] ‘che io sia stato’ che ti ti seggi stæto [ti ˈsedʒˑi ˈstɛːtu] ‘che tu sia stato’ che lê o segge stæto [u ˈsedʒˑe ˈstɛːtu] ‘che egli sia stato’ che niatri seggimo stæti [ˈsedʒimu ˈstɛːti] ‘che noi siamo stati’ che viatri seggei stæti [seˈdʒej ˈstɛːti],
seggiæ stæti [seˈdʒɛː ˈstɛːti] ‘che voi siate stati’che lô seggian stæti [ˈsedʒˑaŋ ˈstɛːti] ‘che essi siano stati’ Trapassato che mi foïse stæto [ˈfwiːse ˈstɛːtu] ‘che io fossi stato’ che ti ti foïsci stæto [ti ˈfwiːʃi ˈstɛːtu] ‘che tu fossi stato’ che lê o foïse stæto [u ˈfwiːse ˈstɛːtu] ‘che egli fosse stato’ che niatri foïscimo stæti [ˈfwiːʃimu ˈstɛːti] ‘che noi fossimo stati’ che viatri foïsci stæti [ˈfwiːʃi ˈstɛːti] ‘che voi foste stati’ che lô foïsan stæti [ˈfwiːsaŋ ˈstɛːti] ‘che essi fossero stati’ Condizionale
Presente mi saieiva [saˈjejva],
saiæ [saˈjɛː] ‘io sarei’ti ti saiësci [ti saˈjeːʃi] ‘tu saresti’ lê o saieiva [u saˈjejva],
o saiæ [u saˈjɛː] ‘egli sarebbe’niatri saiëscimo [saˈjeːscimu] ‘noi saremmo’ viatri saiësci [saˈjeːʃi] ‘voi sareste’ lô saieivan [saˈjejvaŋ],
saiæn [saˈjɛːŋ] ‘essi sarebbero’Passato mi saieiva stæto [saˈjejva ˈstɛːtu],
saiæ stæto [saˈjɛː ˈstɛːtu] ‘io sarei stato’ti ti saiësci stæto [ti saˈjeːʃi ˈstɛːtu] ‘tu saresti stato’ lê o saieiva stæto [u saˈjejva ˈstɛːtu],
o saiæ stæto [u saˈjɛː ˈstɛːtu] ‘egli sarebbe stato’niatri saiëscimo stæti [saˈjeːscimu ˈstɛːti] ‘noi saremmo stati’ viatri saiësci stæti [saˈjeːʃi ˈstɛːti] ‘voi sareste stati’ lô saieivan stæti [saˈjejvaŋ ˈstɛːti],
saiæn stæti [saˈjɛːŋ ˈstɛːti] ‘essi sarebbero stati’Imperativo
seggi [ˈsedʒˑi] ti ‘sii tu’ ch’o segge [u ˈsedʒˑe] lê ‘sia egli’ seggimo [ˈsedʒimu] niatri ‘siamo noi’ seggiæ [seˈdʒɛː] viatri,
seggei [seˈdʒej] viatri ‘siate voi’seggian [ˈsedʒˑaŋ] lô ‘siano essi’ Infinito
Presente ëse [ˈeːse] ‘essere’ Passato ëse stæto [ˈeːse ˈstɛːtu] ‘essere stato’ Participio passato
stæto [ˈstɛːtu] ‘stato’ Gerundio
Presente essendo [eˈseŋdu] ‘essendo’ Passato essendo stæto [eˈseŋdu ˈstɛːtu] ‘essendo stato’ -
Osservazioni:
la seconda e la quinta persona dell’imperativo, come per avei [aˈvej] ‘avere’, sono mutuate dal congiuntivo presente con valore esortativo;
il participio passato è tratto dalla coniugazione di stâ [staː] ‘stare’;
oltre alle sue funzioni di ausiliare e copulativo, ëse [ˈeːse] ‘essere’ si usa come predicativo nei significati di ‘esistere’ e ‘trovarsi’: pâ d’ëse feua do mondo [ˈpaː d ˈeːse ˈføːa du ˈmuŋdu] ‘sembra di essere fuori dal mondo’;
molto frequente è il sintagma gh’é [ɡ ˈe] col valore di ‘avvenire’, ‘verificarsi’: gh’é di problemi [ɡ ˈe di pruˈbleːmi] ‘ci sono dei problemi’;
quando nello specchietto appaiono più forme per la stessa persona, esse si usano in alternativa, del tutto indifferentemente, o con oscillazioni da parlante a parlante, nel qual caso risultano comunque universalmente accettate.
Le forme presentate nello specchietto sono le più usuali e diffuse, ma con esse concorrono alcune varianti (si indicano solo le principali, tralasciando i tempi composti): presente indicativo, terza persona lê o l’è [ˈleː u l ˈɛ]; imperfetto indicativo, prima persona mi eo [ˈmi ˈeːu] (molto diffusa), quarta persona (rarissimo) eivimo [ˈejvimu], quinta persona viatri eivi [viˈaːtri ˈejvi] (raro); futuro indicativo semplice mi sò [ˈmi ˈsɔː], ti ti sæ [ˈti ti ˈsɛː], lê o sâ [ˈleː u ˈsaː], niatri sæmo [niˈaːtri ˈsɛːmu], viatri saei [viˈaːtri saˈej] o saiæ [saˈjɛː], lô san [ˈluː ˈsaːŋ]; presente congiuntivo: quarta persona che niatri seggemmo [ke niˈaːtri seˈdʒemˑu], quinta persona che viatri seggi [ke viˈaːtri ˈsedʒˑi], sesta persona che lô seggen [ke ˈluː ˈsedʒˑeŋ] (nel Savonese); imperfetto congiuntivo: che mi fïse [ke ˈmi ˈfiːse] o foïsce [ˈfwiːʃe], che ti ti fïsci [ke ˈti ti ˈfiːʃi], che lê o fïse [ke ˈleː u ˈfiːse] o foïsce [ˈfwiːʃe], che niatri fïscimo [ke niˈaːtri ˈfiːʃimu], che viatri fïsci [ke viˈaːtri ˈfiːʃi], che lô fïsan [ˈfiːsaŋ], fossan [ˈfusˑaŋ], foïscian [ˈfwiːʃaŋ]; condizionale presente: prima persona mi saieivo [ˈmi saˈjejvu], sæ [ˈsɛː], saiva [ˈsajva], saivo [ˈsajvu], seconda persona ti ti sæsci [ˈti ti ˈsɛːʃi], terza persona lê o saiva [ˈle u ˈsajva] o sæ [ˈsɛː], quarta persona niatri sæscimo [niˈaːtri ˈsɛːʃimu], quinta viatri sæsci [viˈaːtri ˈsɛːʃi], lô saivan [ˈluː ˈsajvaŋ], sæn [ˈsɛːŋ]. In alcune località della Sabazia e del Tigullio la sesta persona può essere preceduta dal pronome atono i [i] (lô i son [ˈluː i ˈsuŋ]); nel Tigullio interno, in alternativa alle forme usuali, concorrono per la sesta persona anche i tipi lô i l’eo [ˈluː i l ˈeːu] (imperfetto indicativo), che lô i seggio [ke ˈluː i ˈsedʒˑu] (congiuntivo presente), lô i fïso [ˈluː i ˈfiːsu] (congiuntivo imperfetto), lô i saieivo [ˈluː i saˈjejvu] o i sæscio [i ˈsɛːʃu] (condizionale presente); nella stessa zona, in concorrenza a stæto [ˈstɛːtu], esiste la forma del participio passato stou [ˈstɔw].
Il passato remoto è definitvamente caduto in disuso a partire dalla seconda metà del secolo scorso. Diamo qui le forme documentate presso gli autori di quel periodo: mi foì [mi ˈfwi], ti ti fosci [ˈti ti ˈfuʃˑi], lê o fù [ˈleː u ˈfy] o foì [ˈfwi], niatri foscimo [niˈaːtri ˈfuʃimu], viatri fosci [viˈaːtri ˈfuʃˑi], lô fon [ˈluː ˈfuŋ] o foin [ˈfwiŋ].
-
Coniugazione di avei [aˈvej] ‘avere’.
Indicativo
Presente mi ò [ˈɔ] ‘io ho’ ti t’æ [t ˈɛː] ‘tu hai’ lê o l’à [u l ˈa] ‘egli ha’,
a l’à [a l ˈa] ‘ella ha’niatri emmo [ˈemˑu] ‘noi abbiamo’ viatri ei [ˈej] ‘voi avete’ lô an [ˈaŋ] ‘essi hanno’ Imperfetto mi aveiva [aˈvejva] ‘io avevo’ ti t’aveivi [t aˈvejvi] ‘tu avevi’ lê o l’aveiva [u l aˈvejva] ‘egli aveva’ niatri aveivimo [aˈvejvimu] ‘noi avevamo’ viatri aveivi [aˈvejvi] ‘voi avevate’ lô aveivan [aˈvejvaŋ] ‘essi avevano’ Futuro semplice mi aviò [aviˈɔ] ‘io avrò’ ti t’aviæ [t aviˈɛː] ‘tu avrai’ lê o l’avià [u l aviˈa] ‘egli avrà’ niatri aviemo [aviˈeːmu] ‘noi avremo’ viatri aviei [aviˈej] ‘voi avrete’ lô avian [aviˈaŋ] ‘essi avranno’ Passato prossimo mi ò avuo [ˈɔ aˈvyːu] ‘io ho avuto’ ti t’æ avuo [t ˈɛː aˈvyːu] ‘tu hai avuto’ lê o l’à avuo [u l ˈa aˈvyːu] ‘egli ha avuto’ niatri emmo avuo [ˈemˑu aˈvyːu] ‘noi abbiamo avuto’ viatri ei avuo [ˈej aˈvyːu] ‘voi avete avuto’ lô an avuo [ˈaŋ aˈvyːu] ‘essi hanno avuto’ Trapassato prossimo mi aveiva avuo [aˈvejva aˈvyːu] ‘io avevo avuto’ ti t’aveivi avuo [t aˈvejvi aˈvyːu] ‘tu avevi avuto’ lê o l’aveiva avuo [u l aˈvejva aˈvyːu] ‘egli aveva avuto’ niatri aveivimo avuo [aˈvejvimu aˈvyːu] ‘noi avevamo avuto’ viatri aveivi avuo [aˈvejvi aˈvyːu] ‘voi avevate avuto’ lô aveivan avuo [aˈvejvaŋ aˈvyːu] ‘essi avevano avuto’ Futuro anteriore mi aviò avuo [aviˈɔ aˈvyːu] ‘io avrò avuto’ ti t’aviæ avuo [t aviˈɛː aˈvyːu] ‘tu avrai avuto’ lê o l’avià avuo [u l aviˈa aˈvyːu] ‘egli avrà avuto’ niatri aviemo avuo [aviˈeːmu aˈvyːu] ‘noi avremo avuto’ viatri aviei avuo [aviˈej aˈvyːu] ‘voi avrete avuto’ lô avian avuo [aviˈaŋ aˈvyːu] ‘essi avranno avuto’ Congiuntivo
Presente che mi agge [ˈadʒˑe] ‘che io abbia’ che ti t’aggi [t ˈadʒˑi] ‘che tu abbia’ che lê o l’agge [u l ˈadʒˑe] ‘che egli abbia’ che niatri aggimo [ˈadʒimu] ‘che noi abbiamo’ che viatri aggei [aˈdʒej],
aggiæ [aˈdʒɛː] ‘che voi abbiate’che lô aggian [ˈadʒˑaŋ] ‘che essi abbiano’ Imperfetto che mi avesse [aˈvesˑe] ‘che io avessi’ che ti t’avesci [t aˈveʃˑi] ‘che tu avessi’ che lê o l’avesse [u l aˈvesˑe] ‘che egli avesse’ che niatri avescimo [aˈveʃimu] ‘che noi avessimo’ che viatri avesci [aˈveʃˑi] ‘che voi aveste’ che lô avessan [aˈvesˑaŋ] ‘che essi avessero’ Passato che mi agge avuo [ˈadʒˑe aˈvyːu] ‘che io abbia avuto’ che ti t’aggi avuo [t ˈadʒˑi aˈvyːu] ‘che tu abbia avuto’ che lê o l’agge avuo [u l ˈadʒˑe aˈvyːu] ‘che egli abbia avuto’ che niatri aggimo avuo [ˈadʒimu aˈvyːu] ‘che noi abbiamo avuto’ che viatri aggei avuo [aˈdʒej aˈvyːu],
aggiæ avuo [aˈdʒɛː aˈvyːu] ‘che voi abbiate avuto’che lô aggian avuo [ˈadʒˑaŋ aˈvyːu] ‘che essi abbiano avuto’ Trapassato che mi avesse avuo [aˈvesˑe aˈvyːu] ‘che io avessi avuto’ che ti t’avesci avuo [t aˈveʃˑi aˈvyːu] ‘che tu avessi avuto’ che lê o l’avesse avuo [u l aˈvesˑe aˈvyːu] ‘che egli avesse avuto’ che niatri avescimo avuo [aˈveʃimu aˈvyːu] ‘che noi avessimo avuto’ che viatri avesci avuo [aˈveʃˑi aˈvyːu] ‘che voi aveste avuto’ che lô avessan avuo [aˈvesˑaŋ aˈvyːu] ‘che essi avessero avuto’ Condizionale
Presente mi avieiva [aviˈejva],
aviæ [aviˈɛː] ‘io avrei’ti t’aviësci [t aviˈeːʃi] ‘tu avresti’ lê o l’avieiva [u l aviˈejva],
o l’aviæ [u l aviˈɛː] ‘egli avrebbe’niatri aviëscimo [aviˈeːscimu] ‘noi avremmo’ viatri aviësci [aviˈeːʃi] ‘voi avreste’ lô avieivan [aviˈejvaŋ],
aviæn [aviˈɛːŋ] ‘essi avrebbero’Passato mi avieiva avuo [aviˈejva aˈvyːu],
aviæ avuo [aviˈɛː aˈvyːu] ‘io avrei avuto’ti t’aviësci avuo [t aviˈeːʃi aˈvyːu] ‘tu avresti avuto’ lê o l’avieiva avuo [u l aviˈejva aˈvyːu],
o l’aviæ avuo [u l aviˈɛː aˈvyːu] ‘egli avrebbe avuto’niatri aviëscimo avuo [aviˈeːscimu aˈvyːu] ‘noi avremmo avuto’ viatri aviësci avuo [aviˈeːʃi aˈvyːu] ‘voi avreste avuto’ lô avieivan avuo [aviˈejvaŋ aˈvyːu],
aviæn avuo [aviˈɛːŋ aˈvyːu] ‘essi avrebbero avuto’Imperativo
aggi [ˈadʒˑi] ti ‘abbi tu’ ch’o l’agge [u l ˈadʒˑe] lê ‘abbia egli’ aggimo [ˈadʒimu] niatri ‘abbiamo noi’ aggiæ [ˈadʒɛː] viatri,
aggei [ˈadʒej] viatri ‘abbiate voi’aggian [ˈadʒˑaŋ] lô ‘abbiano essi’ Infinito
Presente avei [aˈvej] ‘avere’ Passato avei avuo [aˈvej aˈvyːu] ‘avere avuto’ Participio passato
avuo [aˈvyːu] ‘avuto’ Gerundio
Presente avendo [aˈveŋdu] ‘avendo’ Passato avendo avuo [aˈveŋdu aˈvyːu] ‘avendo avuto’ Osservazioni: oltre che come ausiliare, avei [aˈvej] ‘avere’ si usa come predicativo col valore di ‘possedere’, ma con estrema ampiezza di significati: gh’ò famme [ɡ ˈɔ ˈfamˑe] ‘ho fame’, gh’ò un scito [ɡ ˈɔ ŋ ˈʃiːtu] ‘possiedo un campo’, gh’ò un barba ch’o sta in Fransa [ɡ ˈɔ ŋ ˈbaːrba k u ˈsta ŋ ˈfraŋsa] ‘ho uno zio che abita in Francia’. È ormai d’uso raro la costruzione impersonale m’à che [m ˈa ke] nel senso di ‘bisogna’: m’à che ti parti fito [m ˈa ke ti ˈpaːrti ˈfiːtu] ‘bisogna che tu parta presto’.
Principali altre forme: imperfetto indicativo: prima persona mi aveivo [ˈmi aˈvejvu]; imperfetto indicativo mi aivo [ˈmi ˈajvu] o aiva [ˈajva], ti ti aivi [ˈti ti ˈajvi], lê o l’aiva [ˈleː u l ˈajva], niatri aivimo [niˈaːtri ˈajvimu] o aveimo [aˈvejmu], viatri aivi [ˈvjatri ˈajvi], lô aivan [ˈluː ˈajvaŋ] (molto diffusi); imperfetto indicativo mi aia [mi ˈajˑa] o aveia [aˈvejˑa], lê o l’aia [ˈleː u l ˈajˑa], niatri aimo [niˈaːtri ˈajmu], lô aian [ˈluː ˈajˑaŋ]; congiuntivo presente: quarta persona che niatri aggemmo [ke niˈaːtri aˈdʒemˑu], quinta persona che viatri aggi [ke viˈaːtri ˈadʒˑi], sesta persona che lô aggen [ke ˈluː ˈadʒˑen] (nel Savonese); congiuntivo imperfetto: che mi aesse [ke mi aˈesˑe] o aveisce [aˈvejʃe], che ti ti aesci [ke ˈti ti aˈeʃˑi], che lê o l’aesse [ke ˈleː u l aˈesˑe] o aveisce [aˈvejʃe], che niatri aescimo [ke niˈaːtri aˈeʃimu] o æscimo [ˈɛːʃimu], che viatri aesci [ke viˈaːtri aˈeʃˑi], che lô aessan [ke ˈluː aˈesˑaŋ] o avescian [aˈveʃˑaŋ] o æssan [ˈɛːsaŋ]; condizionale presente: prima persona mi avieivo [ˈmi aviˈejvu]; imperativo presente: quarta persona aggemmo niatri [aˈdʒemˑu niˈaːtri]. In alcune zone della Sabazia e del Tigullio la sesta persona può avere il pronome atono i [i] (lô i l’an [ˈluː i l ˈaŋ], lô i l’aveivan [ˈluː i l aˈvejvaŋ]); in alcuni punti del Tigullio interno, concorrono con le forme usuali della sesta persona i tipi lô i l’aio [ˈluː i l ˈajˑu] (imperfetto indicativo), lô i l’avesso [ˈluː i l aˈvesˑu], aiso [ˈajsu] (congiuntivo imperfetto), lô i l’aviescio [ˈluː i l aviˈeʃˑu], aescio [aˈeʃˑu] (condizionale presente).
Forme obsolete del passato remoto: mi ebbi [mi ˈebˑi], ti ti avesci [ˈti ti aˈveʃˑi], lê o l’ebbe [ˈleː u l ˈebˑe], niatri avescimo [niˈaːtri aˈveʃimu], voitri avesci [viˈaːtri aˈveʃˑi], lô ebban [ˈluː ˈebˑaŋ].
Verbi regolari
I verbi regolari, ossia quelli in cui la radice si mantiene inalterata in tutto il paradigma, vengono raggruppati, come si è visto, in quattro coniugazioni.
-
Prima coniugazione: cantâ [kaŋˈtaː] ‘cantare’.
Indicativo
Presente mi canto [ˈkaŋtu] ‘io canto’ ti ti canti [ti ˈkaŋti] ‘tu canti’ lê o canta [u ˈkaŋta] ‘egli canta’,
a canta [a ˈkaŋta] ‘ella canta’niatri cantemmo [kaŋˈtemˑu] ‘noi cantiamo’ viatri cantæ [kaŋˈtɛː] ‘voi cantate’ lô cantan [ˈkaŋtaŋ] ‘essi cantano’ Imperfetto mi cantava [kaŋˈtaːva] ‘io cantavo’ ti ti cantavi [ti kaŋˈtaːvi] ‘tu cantavi’ lê o cantava [u kaŋˈtaːva] ‘egli cantava’ niatri cantavimo [kaŋˈtaːvimu] ‘noi cantavamo’ viatri cantavi [kaŋˈtaːvi] ‘voi cantavate’ lô cantavan [kaŋˈtaːvaŋ] ‘essi cantavano’ Futuro semplice mi cantiò [kaŋtiˈɔ] ‘io canterò’ ti ti cantiæ [ti kaŋtiˈɛː] ‘tu canterai’ lê o cantià [u kaŋtiˈa] ‘egli canterà’ niatri cantiemo [kaŋtiˈeːmu] ‘noi canteremo’ viatri cantiei [kaŋtiˈej] ‘voi canterete’ lô cantian [kaŋtiˈaŋ] ‘essi canteranno’ Passato prossimo mi ò cantou [ˈɔ kaŋˈtɔw] ‘io ho cantato’ ti t’æ cantou [t ˈɛː kaŋˈtɔw] ‘tu hai cantato’ lê o l’à cantou [u l ˈa kaŋˈtɔw] ‘egli ha cantato’ niatri emmo cantou [ˈemˑu kaŋˈtɔw] ‘noi abbiamo cantato’ viatri ei cantou [ˈej kaŋˈtɔw] ‘voi avete cantato’ lô an cantou [ˈaŋ kaŋˈtɔw] ‘essi hanno cantato’ Trapassato prossimo mi aveiva cantou [aˈvejva kaŋˈtɔw] ‘io avevo cantato’ ti t’aveivi cantou [t aˈvejvi kaŋˈtɔw] ‘tu avevi cantato’ lê o l’aveiva cantou [u l aˈvejva kaŋˈtɔw] ‘egli aveva cantato’ niatri aveivimo cantou [aˈvejvimu kaŋˈtɔw] ‘noi avevamo cantato’ viatri aveivi cantou [aˈvejvi kaŋˈtɔw] ‘voi avevate cantato’ lô aveivan cantou [aˈvejvaŋ kaŋˈtɔw] ‘essi avevano cantato’ Futuro anteriore mi aviò cantou [aviˈɔ kaŋˈtɔw] ‘io avrò cantato’ ti t’aviæ cantou [t aviˈɛː kaŋˈtɔw] ‘tu avrai cantato’ lê o l’avià cantou [u l aviˈa kaŋˈtɔw] ‘egli avrà cantato’ niatri aviemo cantou [aviˈeːmu kaŋˈtɔw] ‘noi avremo cantato’ viatri aviei cantou [aviˈej kaŋˈtɔw] ‘voi avrete cantato’ lô avian cantou [aviˈaŋ kaŋˈtɔw] ‘essi avranno cantato’ Congiuntivo
Presente che mi cante [ˈkaŋte] ‘che io canti’ che ti ti canti [ti ˈkaŋti] ‘che tu canti’ che lê o cante [u ˈkaŋte] ‘che egli canti’ che niatri cantemmo [kaŋˈtemˑu] ‘che noi cantiamo’ che viatri cantæ [kaŋˈtɛː] ‘che voi cantiate’ che lô cantan [ˈkaŋtaŋ] ‘che essi cantino’ Imperfetto che mi cantesse [kaŋˈtesˑe] ‘che io cantassi’ che ti ti cantesci [ti kaŋˈteʃˑi] ‘che tu cantassi’ che lê o cantesse [u kaŋˈtesˑe] ‘che egli cantasse’ che niatri cantescimo [kaŋˈteʃimu] ‘che noi cantassimo’ che viatri cantesci [kaŋˈteʃˑi] ‘che voi cantaste’ che lô cantessan [kaŋˈtesˑaŋ] ‘che essi cantassero’ Passato che mi agge cantou [ˈadʒˑe kaŋˈtɔw] ‘che io abbia cantato’ che ti t’aggi cantou [t ˈadʒˑi kaŋˈtɔw] ‘che tu abbia cantato’ che lê o l’agge cantou [u l ˈadʒˑe kaŋˈtɔw] ‘che egli abbia cantato’ che niatri aggimo cantou [ˈadʒimu kaŋˈtɔw] ‘che noi abbiamo cantato’ che viatri aggei cantou [aˈdʒej kaŋˈtɔw],
aggiæ cantou [aˈdʒɛː kaŋˈtɔw] ‘che voi abbiate cantato’che lô aggian cantou [ˈadʒˑaŋ kaŋˈtɔw] ‘che essi abbiano cantato’ Trapassato che mi avesse cantou [aˈvesˑe kaŋˈtɔw] ‘che io avessi cantato’ che ti t’avesci cantou [t aˈveʃˑi kaŋˈtɔw] ‘che tu avessi cantato’ che lê o l’avesse cantou [u l aˈvesˑe kaŋˈtɔw] ‘che egli avesse cantato’ che niatri avescimo cantou [aˈveʃimu kaŋˈtɔw] ‘che noi avessimo cantato’ che viatri avesci cantou [aˈveʃˑi kaŋˈtɔw] ‘che voi aveste cantato’ che lô avessan cantou [aˈvesˑaŋ kaŋˈtɔw] ‘che essi avessero cantato’ Condizionale
Presente mi cantieiva [kaŋtiˈejva],
cantiæ [kaŋtiˈɛː] ‘io canterei’ti ti cantiësci [ti kaŋtiˈeːʃi] ‘tu canteresti’ lê o cantieiva [u kaŋtiˈejva],
o cantiæ [u kaŋtiˈɛː] ‘egli canterebbe’niatri cantiëscimo [kaŋtiˈeːscimu] ‘noi canteremmo’ viatri cantiësci [kaŋtiˈeːʃi] ‘voi cantereste’ lô cantieivan [kaŋtiˈejvaŋ],
cantiæn [kaŋtiˈɛːŋ] ‘essi canterebbero’Passato mi avieiva cantou [aviˈejva kaŋˈtɔw],
aviæ cantou [aviˈɛː kaŋˈtɔw] ‘io avrei cantato’ti t’aviësci cantou [t aviˈeːʃi kaŋˈtɔw] ‘tu avresti cantato’ lê o l’avieiva cantou [u l aviˈejva kaŋˈtɔw],
o l’aviæ cantou [u l aviˈɛː kaŋˈtɔw] ‘egli avrebbe cantato’niatri aviëscimo cantou [aviˈeːscimu kaŋˈtɔw] ‘noi avremmo cantato’ viatri aviësci cantou [aviˈeːʃi kaŋˈtɔw] ‘voi avreste cantato’ lô avieivan cantou [aviˈejvaŋ kaŋˈtɔw],
aviæn cantou [aviˈɛːŋ kaŋˈtɔw] ‘essi avrebbero cantato’Imperativo
canta [ˈkaŋta] ti ‘canta tu’ ch’o cante [u ˈkaŋte] lê ‘canti egli’ cantemmo [kaŋˈtemˑu] niatri ‘cantiamo noi’ cantæ [kaŋˈtɛː] viatri ‘cantate voi’ cantan [ˈkaŋtaŋ] lô ‘cantino essi’ Infinito
Presente cantâ [kaŋˈtaː] ‘cantare’ Passato avei cantou [aˈvej kaŋˈtɔw] ‘avere cantato’ Participio passato
cantou [kaŋˈtɔw] ‘cantato’ Gerundio
Presente cantando [kaŋˈtaŋdu] ‘cantando’ Passato avendo cantou [aˈveŋdu kaŋˈtɔw] ‘avendo cantato’ -
Osservazioni:
nei verbi con radice in consonante velare ([k], [ɡ]: stancâ [staŋˈkaː] ‘stancare’, denegâ [deneˈɡaː] ‘negare’), si ricorre naturalmente al grafema ⟨h⟩ per mantenere la pronuncia velare anche davanti a vocale anteriore: ti ti stanchi [ˈti ti ˈstaŋki] ‘tu stanchi’, lê o deneghià [ˈleː u deneɡiˈa] ‘egli negherà’, ecc.;
i verbi che escono in ⟨-ciâ⟩, ⟨-giâ⟩ e ⟨-sciâ⟩ perdono la ⟨i⟩, che ha soltanto valore diacritico, davanti a vocale ⟨a⟩, ⟨e⟩: che mi mange [ke ˈmi ˈmaŋdʒe] ‘che io mangi’, che mi lasce [ke ˈmi ˈlaʃˑe] ‘che io lasci’, ecc.;
tutti i verbi che all’infinito finiscono in ⟨-nâ⟩, come allontanâ [aluŋtaˈnaː] ‘allontanare’, penâ [peˈnaː] ‘penare’, chinâ [kiˈnaː] ‘scendere’, remenâ [remeˈnaː] ‘manomettere’, zazzunâ [zazyˈnaː] ‘digiunare’, ecc., cambiano la ⟨n⟩ da alveolare a velare nelle persone singolari e nella sesta persona del presente indicativo, congiuntivo e imperativo: mi chiño [ˈmi ˈkiŋˑu], ti ti chiñi [ˈti ti ˈkiŋˑi], lê o chiña [ˈleː u ˈkiŋˑa], niatri chinemmo [niˈaːtri kiˈnemˑu], viatri chinæ [viˈaːtri kiˈnɛː], lô chiñan [ˈluː ˈkiŋˑaŋ]; che mi chiñe [ke ˈmi ˈkiŋˑe], che ti ti chiñi [ke ˈti ti ˈkiŋˑi], che lê o chiñe [ke ˈleː u ˈkinˑe], che niatri chinemmo [ke niˈaːtri kiˈnemˑu], che viatri chinæ [ke viˈaːtri kiˈnɛː], che lô chiñan [ke ˈluː ˈkiŋˑaŋ]; chiña ti [ˈkiŋˑa ˈti], ch’o chiñe lê [k u ˈkiŋˑe ˈleː], chinemmo niatri [kiˈnemˑu niˈaːtri], chinæ viatri [kiˈnɛː viˈaːtri], chiñan lô [ˈkiŋˑaŋ ˈluː]. Fanno eccezione i verbi examinâ [eʒamiˈnaː] ‘esaminare’, imaginâ [imadʒiˈnaː] ‘immaginare’, pëtenâ [peːteˈnaː] ‘pettinare’, telefonâ [telefuˈnaː] ‘telefonare’ e gli altri che nella prima persona del presente indicativo hanno l’accento sulla terzultima sillaba, i quali si coniugano regolarmente (mi examino [ˈmi eˈʒaminu] ‘io esamino’, te telefono [te teˈlefunu] ‘ti telefono’);
davanti ai pronomi enclitici, la seconda persona dell’imperativo muta la desinenza in ⟨-i⟩: lavighe [ˈlaːviɡe] ‘lavagli’.
Principali altre forme: presente indicativo, terza persona lê o cante [ˈleː u ˈkaŋte], quinta persona viatri cantei [viˈaːtri kaŋˈtej] (nel Tigullio); imperfetto indicativo, prima persona mi cantavo [ˈmi kaŋˈtaːvu], quarta persona niatri cantamo [niˈaːtri kanˈtaːmu]; congiuntivo presente, sesta persona che lô canten [ke ˈluː ˈkaŋteŋ] (nel Savonese); condizionale presente, prima persona mi cantieivo [ˈmi kaŋtiˈejvu]. Nella Sabazia e nel Tigullio la sesta persona può avere il pronome atono i [i] (lô i cantan [ˈluː i ˈkaŋtaŋ]); nel Tigullio, alla sesta persona concorrono anche le forme lô i canto [ˈluː i ˈkaŋtu] (presente indicativo), lô i canteio [ˈluː i kaŋˈtejˑu] (imperfetto indicativo), ch’i canto [k ˈi ˈkaŋtu] (congiuntivo presente), ch’i cantesso [k ˈi kaŋˈtesˑu] (congiuntivo imperfetto), i cantiescio [ˈi kaŋtiˈeʃˑu] (condizionale presente), ch’i canto [k ˈi ˈkaŋtu] (imperativo).
Forme obsolete del passato remoto: mi cantei [ˈmi kaŋˈtej], ti ti cantesci [ˈti ti kaŋˈteʃˑi], lê o cantò [ˈleː u kaŋˈtɔ], niatri cantascimo [niˈaːtri kaŋˈtaʃimu], viatri cantasci [viˈaːtri kaŋˈtaʃˑi], lô cantòn [ˈluː kaŋˈtɔŋ].
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Seconda coniugazione: taxei [taˈʒej] ‘tacere’.
Indicativo
Presente mi taxo [ˈtaːʒu] ‘io taccio’ ti ti taxi [ti ˈtaːʒi] ‘tu taci’ lê o taxe [u ˈtaːʒe] ‘egli tace’,
a taxe [a ˈtaːʒe] ‘ella tace’niatri taxemmo [taˈʒemˑu] ‘noi taciamo’ viatri taxei [taˈʒej] ‘voi tacete’ lô taxan [ˈtaːʒaŋ] ‘essi tacciono’ Imperfetto mi taxeiva [taˈʒejva] ‘io tacevo’ ti ti taxeivi [ti taˈʒejvi] ‘tu tacevi’ lê o taxeiva [u taˈʒejva] ‘egli taceva’ niatri taxeivimo [taˈʒejvimu] ‘noi tacevamo’ viatri taxeivi [taˈʒejvi] ‘voi tacevate’ lô taxeivan [taˈʒejvaŋ] ‘essi tacevano’ Futuro semplice mi taxiò [taʒiˈɔ] ‘io tacerò’ ti ti taxiæ [ti taʒiˈɛː] ‘tu tacerai’ lê o taxià [u taʒiˈa] ‘egli tacerà’ niatri taxiemo [taʒiˈeːmu] ‘noi taceremo’ viatri taxiei [taʒiˈej] ‘voi tacerete’ lô taxian [taʒiˈaŋ] ‘essi taceranno’ Passato prossimo mi ò taxuo [ˈɔ taˈʒyːu] ‘io ho taciuto’ ti t’æ taxuo [t ˈɛː taˈʒyːu] ‘tu hai taciuto’ lê o l’à taxuo [u l ˈa taˈʒyːu] ‘egli ha taciuto’ niatri emmo taxuo [ˈemˑu taˈʒyːu] ‘noi abbiamo taciuto’ viatri ei taxuo [ˈej taˈʒyːu] ‘voi avete taciuto’ lô an taxuo [ˈaŋ taˈʒyːu] ‘essi hanno taciuto’ Trapassato prossimo mi aveiva taxuo [aˈvejva taˈʒyːu] ‘io avevo taciuto’ ti t’aveivi taxuo [t aˈvejvi taˈʒyːu] ‘tu avevi taciuto’ lê o l’aveiva taxuo [u l aˈvejva taˈʒyːu] ‘egli aveva taciuto’ niatri aveivimo taxuo [aˈvejvimu taˈʒyːu] ‘noi avevamo taciuto’ viatri aveivi taxuo [aˈvejvi taˈʒyːu] ‘voi avevate taciuto’ lô aveivan taxuo [aˈvejvaŋ taˈʒyːu] ‘essi avevano taciuto’ Futuro anteriore mi aviò taxuo [aviˈɔ taˈʒyːu] ‘io avrò taciuto’ ti t’aviæ taxuo [t aviˈɛː taˈʒyːu] ‘tu avrai taciuto’ lê o l’avià taxuo [u l aviˈa taˈʒyːu] ‘egli avrà taciuto’ niatri aviemo taxuo [aviˈeːmu taˈʒyːu] ‘noi avremo taciuto’ viatri aviei taxuo [aviˈej taˈʒyːu] ‘voi avrete taciuto’ lô avian taxuo [aviˈaŋ taˈʒyːu] ‘essi avranno taciuto’ Congiuntivo
Presente che mi taxe [ˈtaːʒe] ‘che io taccia’ che ti ti taxi [ti ˈtaːʒi] ‘che tu taccia’ che lê o taxe [u ˈtaːʒe] ‘che egli taccia’ che niatri taxemmo [taˈʒemˑu] ‘che noi tacciamo’ che viatri taxei [taˈʒej] ‘che voi tacciate’ che lô taxan [ˈtaːʒaŋ] ‘che essi tacciano’ Imperfetto che mi taxesse [taˈʒesˑe] ‘che io tacessi’ che ti ti taxesci [ti taˈʒeʃˑi] ‘che tu tacessi’ che lê o taxesse [u taˈʒesˑe] ‘che egli tacesse’ che niatri taxescimo [taˈʒeʃimu] ‘che noi tacessimo’ che viatri taxesci [taˈʒeʃˑi] ‘che voi taceste’ che lô taxessan [taˈʒesˑaŋ] ‘che essi tacessero’ Passato che mi agge taxuo [ˈadʒˑe taˈʒyːu] ‘che io abbia taciuto’ che ti t’aggi taxuo [t ˈadʒˑi taˈʒyːu] ‘che tu abbia taciuto’ che lê o l’agge taxuo [u l ˈadʒˑe taˈʒyːu] ‘che egli abbia taciuto’ che niatri aggimo taxuo [ˈadʒimu taˈʒyːu] ‘che noi abbiamo taciuto’ che viatri aggei taxuo [aˈdʒej taˈʒyːu],
aggiæ taxuo [aˈdʒɛː taˈʒyːu] ‘che voi abbiate taciuto’che lô aggian taxuo [ˈadʒˑaŋ taˈʒyːu] ‘che essi abbiano taciuto’ Trapassato che mi avesse taxuo [aˈvesˑe taˈʒyːu] ‘che io avessi taciuto’ che ti t’avesci taxuo [t aˈveʃˑi taˈʒyːu] ‘che tu avessi taciuto’ che lê o l’avesse taxuo [u l aˈvesˑe taˈʒyːu] ‘che egli avesse taciuto’ che niatri avescimo taxuo [aˈveʃimu taˈʒyːu] ‘che noi avessimo taciuto’ che viatri avesci taxuo [aˈveʃˑi taˈʒyːu] ‘che voi aveste taciuto’ che lô avessan taxuo [aˈvesˑaŋ taˈʒyːu] ‘che essi avessero taciuto’ Condizionale
Presente mi taxieiva [taʒiˈejva],
taxiæ [taʒiˈɛː] ‘io tacerei’ti ti taxiësci [ti taʒiˈeːʃi] ‘tu taceresti’ lê o taxieiva [u taʒiˈejva],
o taxiæ [u taʒiˈɛː] ‘egli tacerebbe’niatri taxiëscimo [taʒiˈeːscimu] ‘noi taceremmo’ viatri taxiësci [taʒiˈeːʃi] ‘voi tacereste’ lô taxieivan [taʒiˈejvaŋ],
taxiæn [taʒiˈɛːŋ] ‘essi tacerebbero’Passato mi avieiva taxuo [aviˈejva taˈʒyːu],
aviæ taxuo [aviˈɛː taˈʒyːu] ‘io avrei taciuto’ti t’aviësci taxuo [t aviˈeːʃi taˈʒyːu] ‘tu avresti taciuto’ lê o l’avieiva taxuo [u l aviˈejva taˈʒyːu],
o l’aviæ taxuo [u l aviˈɛː taˈʒyːu] ‘egli avrebbe taciuto’niatri aviëscimo taxuo [aviˈeːscimu taˈʒyːu] ‘noi avremmo taciuto’ viatri aviësci taxuo [aviˈeːʃi taˈʒyːu] ‘voi avreste taciuto’ lô avieivan taxuo [aviˈejvaŋ taˈʒyːu],
aviæn taxuo [aviˈɛːŋ taˈʒyːu] ‘essi avrebbero taciuto’Imperativo
taxi [ˈtaːʒi] ti ‘taci tu’ ch’o taxe [u ˈtaːʒe] lê ‘taccia egli’ taxemmo [taˈʒemˑu] niatri ‘taciamo noi’ taxei [taˈʒej] viatri ‘tacete voi’ taxan [ˈtaːʒaŋ] lô ‘tacciano essi’ Infinito
Presente taxei [taˈʒej] ‘tacere’ Passato avei taxuo [aˈvej taˈʒyːu] ‘avere taciuto’ Participio passato
taxuo [taˈʒyːu] ‘taciuto’ Gerundio
Presente taxendo [taˈʒeŋdu] ‘tacendo’ Passato avendo taxuo [aˈveŋdu taˈʒyːu] ‘avendo taciuto’ Principali altre forme: imperfetto indicativo, prima persona mi taxeivo [ˈmi taˈʒejvu], mi taxeia [ˈmi taˈʒejˑa], quarta persona niatri taxeimo [niˈaːtri taˈʒejmu]; congiuntivo presente, sesta persona che lô taxen [ke ˈluː ˈtaːʒeŋ] (nel Savonese); condizionale presente mi taxieivo [mi taʒiˈejvu]; nella Sabazia e nel Tigullio la sesta persona può presentare il pronome atono i [i] (lô i taxan [ˈluː i ˈtaːʒaŋ]); nel Tigullio interno la sesta persona può presentare le varianti lô i taxo [ˈluː i ˈtaːʒu] (presente indicativo), lô i taxeio [ˈluː i taˈʒejˑu] (imperfetto indicativo), ch’i taxo [k i ˈtaːʒu] (congiuntivo presente), ch’i taxesso [k i taˈʒesˑu] (congiuntivo imperfetto), i taxiescio [i taʒiˈeʃˑu] (condizionale presente), ch’i taxo [k i ˈtaːʒu] (imperativo).
Forme obsolete del passato remoto: mi taxei [mi taˈʒej], ti ti taxesci [ˈti ti taˈʒeʃˑi], lê o taxé [ˈleː u taˈʒe], niatri taxescimo [niˈaːtri taˈʒeʃimu], viatri taxesci [viˈaːtri taˈʒeʃˑi], lô taxen [ˈluː ˈtaːʒɛŋ] o taxettan [taˈʒetˑaŋ].
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Terza coniugazione: batte [ˈbatˑe] ‘battere’.
La terza coniugazione presenta le medesime desinenze della seconda tranne che nell’infinito: per la coniugazione e le particolarità si rimanda quindi ai paragrafi 45, 46, 47. Si avverta soltanto che l’infinito della terza coniugazione, coi pronomi enclitici muta la desinenza in ⟨-i⟩: battime [ˈbatˑime] ‘battermi’, battighe [ˈbatˑiɡe] ‘battergli’, battilo [ˈbatˑilu] ‘batterlo’, nascighe [ˈnaʃˑiɡe] ‘nascerci’, ascondise [asˈkuŋdise] ‘nascondersi’ ecc.
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Quarta coniugazione: servî [serˈviː] ‘servire’.
Indicativo
Presente mi servo [ˈsɛːrvu] ‘io servo’ ti ti servi [ti ˈsɛːrvi] ‘tu servi’ lê o serve [u ˈsɛːrve] ‘egli serve’,
a serve [a ˈsɛːrve] ‘ella serve’niatri servimmo [ˈsɛːrvimˑu] ‘noi serviamo’ viatri servî [serˈviː] ‘voi servite’ lô servan [ˈsɛːrvaŋ] ‘essi servono’ Imperfetto mi serviva [serˈviːva] ‘io servivo’ ti ti servivi [ti serˈviːvi] ‘tu servivi’ lê o serviva [u serˈviːva] ‘egli serviva’ niatri servivimo [serˈviːvimu] ‘noi servivamo’ viatri servivi [serˈviːvi] ‘voi servivate’ lô servivan [serˈviːvaŋ] ‘essi servivano’ Futuro semplice mi serviò [serviˈɔ] ‘io servirò’ ti ti serviæ [ti serviˈɛː] ‘tu servirai’ lê o servià [u serviˈa] ‘egli servirà’ niatri serviemo [serviˈeːmu] ‘noi serviremo’ viatri serviei [serviˈej] ‘voi servirete’ lô servian [serviˈaŋ] ‘essi serviranno’ Passato prossimo mi ò servio [ˈɔ serˈviːu] ‘io ho servito’ ti t’æ servio [t ˈɛː serˈviːu] ‘tu hai servito’ lê o l’à servio [u l ˈa serˈviːu] ‘egli ha servito’ niatri emmo servio [ˈemˑu serˈviːu] ‘noi abbiamo servito’ viatri ei servio [ˈej serˈviːu] ‘voi avete servito’ lô an servio [ˈaŋ serˈviːu] ‘essi hanno servito’ Trapassato prossimo mi aveiva servio [aˈvejva serˈviːu] ‘io avevo servito’ ti t’aveivi servio [t aˈvejvi serˈviːu] ‘tu avevi servito’ lê o l’aveiva servio [u l aˈvejva serˈviːu] ‘egli aveva servito’ niatri aveivimo servio [aˈvejvimu serˈviːu] ‘noi avevamo servito’ viatri aveivi servio [aˈvejvi serˈviːu] ‘voi avevate servito’ lô aveivan servio [aˈvejvaŋ serˈviːu] ‘essi avevano servito’ Futuro anteriore mi aviò servio [aviˈɔ serˈviːu] ‘io avrò servito’ ti t’aviæ servio [t aviˈɛː serˈviːu] ‘tu avrai servito’ lê o l’avià servio [u l aviˈa serˈviːu] ‘egli avrà servito’ niatri aviemo servio [aviˈeːmu serˈviːu] ‘noi avremo servito’ viatri aviei servio [aviˈej serˈviːu] ‘voi avrete servito’ lô avian servio [aviˈaŋ serˈviːu] ‘essi avranno servito’ Congiuntivo
Presente che mi serve [ˈsɛːrve] ‘che io serva’ che ti ti servi [ti ˈsɛːrvi] ‘che tu serva’ che lê o serve [u ˈsɛːrve] ‘che egli serva’ che niatri servimmo [serˈvimˑu] ‘che noi serviamo’ che viatri servî [serˈviː] ‘che voi serviate’ che lô servan [ˈsɛːrvaŋ] ‘che essi servano’ Imperfetto che mi servisse [serˈvisˑe] ‘che io servissi’ che ti ti servisci [ti serˈviʃˑi] ‘che tu servissi’ che lê o servisse [u serˈvisˑe] ‘che egli servisse’ che niatri serviscimo [serˈviʃimu] ‘che noi servissimo’ che viatri servisci [serˈviʃˑi] ‘che voi serviste’ che lô servissan [serˈvisˑaŋ] ‘che essi servissero’ Passato che mi agge servio [ˈadʒˑe serˈviːu] ‘che io abbia servito’ che ti t’aggi servio [t ˈadʒˑi serˈviːu] ‘che tu abbia servito’ che lê o l’agge servio [u l ˈadʒˑe serˈviːu] ‘che egli abbia servito’ che niatri aggimo servio [ˈadʒimu serˈviːu] ‘che noi abbiamo servito’ che viatri aggei servio [aˈdʒej serˈviːu],
aggiæ servio [aˈdʒɛː serˈviːu] ‘che voi abbiate servito’che lô aggian servio [ˈadʒˑaŋ serˈviːu] ‘che essi abbiano servito’ Trapassato che mi avesse servio [aˈvesˑe serˈviːu] ‘che io avessi servito’ che ti t’avesci servio [t aˈveʃˑi serˈviːu] ‘che tu avessi servito’ che lê o l’avesse servio [u l aˈvesˑe serˈviːu] ‘che egli avesse servito’ che niatri avescimo servio [aˈveʃimu serˈviːu] ‘che noi avessimo servito’ che viatri avesci servio [aˈveʃˑi serˈviːu] ‘che voi aveste servito’ che lô avessan servio [aˈvesˑaŋ serˈviːu] ‘che essi avessero servito’ Condizionale
Presente mi servieiva [serviˈejva],
serviæ [serviˈɛː] ‘io servirei’ti ti serviësci [ti serviˈeːʃi] ‘tu serviresti’ lê o servieiva [u serviˈejva],
o serviæ [u serviˈɛː] ‘egli servirebbe’niatri serviëscimo [serviˈeːscimu] ‘noi serviremmo’ viatri serviësci [serviˈeːʃi] ‘voi servireste’ lô servieivan [serviˈejvaŋ],
serviæn [serviˈɛːŋ] ‘essi servirebbero’Passato mi avieiva servio [aviˈejva serˈviːu],
aviæ servio [aviˈɛː serˈviːu] ‘io avrei servito’ti t’aviësci servio [t aviˈeːʃi serˈviːu] ‘tu avresti servito’ lê o l’avieiva servio [u l aviˈejva serˈviːu],
o l’aviæ servio [u l aviˈɛː serˈviːu] ‘egli avrebbe servito’niatri aviëscimo servio [aviˈeːscimu serˈviːu] ‘noi avremmo servito’ viatri aviësci servio [aviˈeːʃi serˈviːu] ‘voi avreste servito’ lô avieivan servio [aviˈejvaŋ serˈviːu],
aviæn servio [aviˈɛːŋ serˈviːu] ‘essi avrebbero servito’Imperativo
servi [ˈsɛːrvi] ti ‘servi tu’ ch’o serve [u ˈsɛːrve] lê ‘serva egli’ servimmo [serˈvimˑu] niatri ‘serviamo noi’ servî [serˈviː] viatri ‘servite voi’ servan [ˈsɛːrvaŋ] lô ‘servano essi’ Infinito
Presente servî [serˈviː] ‘servire’ Passato avei servio [aˈvej serˈviːu] ‘avere servito’ Participio passato
servio [serˈviːu] ‘servito’ Gerundio
Presente servindo [serˈviŋdu] ‘servendo’ Passato avendo servio [aˈveŋdu serˈviːu] ‘avendo servito’ Altre forme: imperfetto indicativo, prima persona mi servivo [ˈmi serˈviːvu], quarta persona niatri servimo [niˈaːtri serˈviːmu]; congiuntivo presente, sesta persona che lô serven [ke ˈluː ˈsɛːrveŋ] (nel Savonese); condizionale presente, prima persona mi servieivo [mi serviˈejvu]. Nella Sabazia e nel Tigullio le seste persone possono avere il pronome atono i [i] (lô i servieivan [ˈluː i serviˈejvaŋ] ‘essi servirebbero’). Nel Tigullio interno le seste persone possono presentare, in alternativa alle forme consuete, la serie lô i servo [ˈluː i ˈsɛːrvu] (presente indicativo), lô i servivo [ˈluː i serˈviːvu] (imperfetto indicativo), che lô i servo [ke ˈluː i ˈsɛːrvu] (congiuntivo presente), che lô i servisso [ke ˈluː i serˈvisˑu] (congiuntivo imperfetto), lô i serviescio [ˈluː i serviˈeːʃu] (condizionale presente), ch’i servo [k i ˈsɛːrvu] (imperativo).
Forme obsolete del passato remoto: mi servì [ˈmi serˈvi], ti ti servisci [ˈti ti serˈviʃˑi], lê o servî [ˈleː u serˈviː], niatri serviscimo [niˈaːtri serˈviʃˑimu], viatri servisci [viˈaːtri serˈviʃˑi], lô servin [ˈluː serˈviŋ].
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Numerosi verbi della quarta coniugazione ampliano il tema dell’infinito inserendo fra radice e desinenza il suffisso ⟨-isci-⟩ nelle seguenti forme: prima, seconda, terza e sesta persona dell’indicativo presente e del congiuntivo presente, seconda, terza e sesta persona dell’imperativo. Ecco uno specchietto riassuntivo delle forme in ⟨-isci-⟩, per il verbo finî [fiˈniː] ‘finire’:
Indicativo presente mi finiscio [fiˈniʃˑu] ‘io finisco’ ti ti finisci [ti fiˈniʃˑi] ‘tu finisci’ lê o finisce [u fiˈniʃˑe] ‘egli finisce’,
a finisce [a fiˈniʃˑe] ‘ella finisce’niatri finimmo [fiˈnimˑu] ‘noi finiamo’ viatri finî [fiˈniː] ‘voi finite’ lô finiscian [fiˈniʃˑaŋ] ‘essi finiscono’ Congiuntivo presente che mi finisce [fiˈniʃˑe] ‘che io finisca’ che ti ti finisci [ti fiˈniʃˑi] ‘che tu finisca’ che lê o finisce [u fiˈniʃˑe] ‘che egli finisca’ che niatri finimmo [fiˈnimˑu] ‘che noi finiamo’ che viatri finî [fiˈniː] ‘che voi finiate’ che lô finiscian [fiˈniʃˑaŋ] ‘che essi finiscano’ Imperativo finisci [fiˈniʃˑi] ti ‘finisci tu’ ch’o finisce [u fiˈniʃˑe] lê ‘finisca egli’ finimmo [fiˈnimˑu] niatri ‘finiamo noi’ finî [fiˈniː] viatri ‘finite voi’ finiscian [fiˈniʃˑaŋ] lô ‘finiscano essi’ Tra i verbi che si coniugano come finî [fiˈniː] ‘finire’ ricordiamo i seguenti: abolî [abuˈliː] ‘abolire’, aggraddî [agraˈdiː] ‘gradire’, alleggeî [aledʒeˈiː] ‘alleggerire’, accurtî [akyrˈtiː] ‘accorciare’, bandî [baŋˈdiː] e sbandî [zbaŋˈdiː] ‘bandire’ (ac)capî [(a)kaˈpiː] ‘capire’, ciæî [tʃeːˈiː] ‘chiarire’, compaî [kuŋpaˈiː] ‘comparire’, corpî [kurˈpiː] ‘colpire’, condî [kuŋˈdiː] ‘condire’, definî [defiˈniː] ‘definire’, digeî [didʒeˈiː] ‘digerire’, exaudî [eʒɔwˈdiː] ‘esaudire’, exibî [eʒiˈbiː] ‘offrire’, fallî [faˈliː] ‘fallire’, feî [feˈiː] ‘ferire’, fornî [furˈniː] ‘fornire’ e ‘finire’, guaî [gwaˈiː] ‘guarire’, imbandî [iŋbaŋˈdiː] ‘imbandire’, imbastî [iŋbasˈtiː] ‘imbastire’, imbellî [iŋbeˈliː] ‘abbellire’, imbruttî [iŋbryˈtiː] ‘imbruttire’, impassî [iŋpaˈsiː] ‘appassire’, impedî [iŋpeˈdiː] ‘impedire’, indebolî [iŋdebuˈliː] ‘indebolire’, infranchî [iŋfraŋˈkiː] ‘liberare’, inmattî [iŋmaˈtiː] ‘impazzire’, inredenî [iŋredeˈniː] ‘irrigidire’, inricchî [iŋriˈkiː] ‘arricchire’, inruzzenî [iŋryzeˈniː] ‘arrugginire’, inseî [iŋseˈiː] ‘innestare’, instruî [iŋstryˈiː] ‘istruire’, inzovenî [iŋzuveˈniː] ‘ringiovanire’, marsî [marˈsiː] ‘marcire’, patî [paˈtiː] ‘soffrire’, prefeî [prefeˈiː] ‘preferire’, proibî [prujˈbiː] ‘proibire’, reagî [reaˈdʒiː] ‘reagire’, restituî [restityˈiː] ‘restituire’, réunî [reyˈniː] ‘riunire’, rostî [rusˈtiː] ‘arrostire’, sccioî [ˈʃtʃwiː] ‘schiudersi’, scorpî [skurpiː] ‘scolpire’, seppellî [sepeˈliː] ‘seppellire’, smaxî [smaˈʒiː] ‘corrodere’, spaî [spaˈiː] ‘scomparire’, spartî [sparˈtiː] ‘dividere’, subî [syˈbiː] ‘subire’, traî [traˈiː] ‘tradire’, ubbedî [ybeˈdiː] ‘obbedire’, unî [yˈniː] ‘unire’.
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Coniugazione dei verbi passivi e dei verbi riflessivi.
Segue ora il paradigma di un verbo passivo (ëse lavou [ˈeːse laˈvɔw] ‘essere lavato’) e di un riflessivo (lavâse [laˈvaːse] ‘lavarsi’). Si osserverà che il participio concorda in genere e numero con il soggetto; in presenza di soggetti di genere diverso valgono le stesse norme che regolano l’accordo dell’aggettivo: a Maria a l’é ammâ da-i sò figgi [a maˈriːa a l ˈe aˈmaː daj ˈsɔ ˈfidʒˑi] ‘Maria è amata dai suoi figli’; o Mario e a Luisa se son lavæ [u ˈmaːrju e a ˈlwiːza se ˈsuŋ laˈvɛː] ‘Mario e Luisa si sono lavati’). Nel riflessivo indiretto, però, il participio resta invariato: o Mario e a Luisa s‘an lavou e moen [u ˈmaːrju e a ˈlwiːza s ˈaŋ laˈvɔw e mˈwɛːŋ] ‘Mario e Luisa si sono lavati le mani’.
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Il paradigma dei verbi intransitivi (per le forme composte) corrisponde:
a quello dei transitivi attivi se l’ausiliare è avei [aˈvej] ‘avere’;
a quello dei passivi se l’ausiliare è ëse [ˈeːse] ‘essere’.
Il paradigma dei verbi intransitivi pronominali coincide con quello dei riflessivi diretti.
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Coniugazione passiva.
Indicativo
Presente mi son lavou [ˈsuŋ laˈvɔw] ‘io sono lavato’ ti t’ê lavou [t ˈeː laˈvɔw] ‘tu sei lavato’ lê o l’é lavou [u l ˈe laˈvɔw] ‘egli è lavato’,
a l’é lavâ [a l ˈe laˈvaː] ‘ella è lavata’niatri semmo lavæ [ˈsemˑu laˈvɛː] ‘noi siamo lavati’ viatri sei lavæ [ˈsej laˈvɔw] ‘voi siete lavati’ lô son lavæ [ˈsuŋ laˈvɔw],
en lavæ [ˈeŋ laˈvɔw] ‘essi sono lavati’Imperfetto mi ea lavou [ˈeːa laˈvɔw] ‘io ero lavato’ ti t’ëi lavou [t ˈeːi laˈvɔw] ‘tu eri lavato’ lê o l’ea lavou [u l ˈeːa laˈvɔw] ‘egli era lavato’ niatri eimo lavæ [ˈejmu laˈvɛː],
emo lavæ [ˈeːmu laˈvɛː] ‘noi eravamo lavati’viatri ëi lavæ [ˈeːj laˈvɛː] ‘voi eravate lavati’ lô ean lavæ [ˈeːaŋ laˈvɛː] ‘essi erano lavati’ Futuro semplice mi saiò lavou [saˈjɔ laˈvɔw] ‘io sarò lavato’ ti ti saiæ lavou [ti saˈjɛː laˈvɔw] ‘tu sarai lavato’ lê o saià lavou [u saˈja laˈvɔw] ‘egli sarà lavato’ niatri saiemo lavæ [saˈjeːmu laˈvɛː] ‘noi saremo lavati’ viatri saiei lavæ [saˈjej laˈvɛː] ‘voi sarete lavati’ lô saian lavæ [saˈjaŋ laˈvɛː] ‘essi saranno lavati’ Passato prossimo mi son stæto lavou [ˈsuŋ ˈstɛːtu laˈvɔw] ‘io sono stato lavato’ ti t’ê stæto lavou [t ˈeː ˈstɛːtu laˈvɔw] ‘tu sei stato lavato’ lê o l’é stæto lavou [u l ˈe ˈstɛːtu laˈvɔw] ‘egli è stato lavato’ niatri semmo stæti lavæ [ˈsemˑu ˈstɛːti laˈvɛː] ‘noi siamo stati lavati’ viatri sei stæti lavæ [ˈsej ˈstɛːti laˈvɛː] ‘voi siete stati lavati’ lô son stæti lavæ [ˈsuŋ ˈstɛːti laˈvɛː],
en stæti lavæ [ˈeŋ ˈstɛːti laˈvɛː] ‘essi sono stati lavati’Trapassato prossimo mi ea stæto lavou [ˈeːa ˈstɛːtu laˈvɔw] ‘io ero stato lavato’ ti t’ëi stæto lavou [t ˈeːi ˈstɛːtu laˈvɔw] ‘tu eri stato lavato’ lê o l’ea stæto lavou [u l ˈeːa ˈstɛːtu laˈvɔw] ‘egli era stato lavato’ niatri eimo stæti lavæ [ˈejmu ˈstɛːti laˈvɛː],
emo stæti lavæ [ˈeːmu ˈstɛːti] ‘noi eravamo stati lavati’viatri ëi stæti lavæ [ˈeːi ˈstɛːti laˈvɛː] ‘voi eravate stati lavati’ lô ean stæti lavæ [ˈeːan ˈstɛːti laˈvɛː] ‘essi erano stati lavati’ Futuro anteriore mi saiò stæto lavou [saˈjɔ ˈstɛːtu laˈvɔw] ‘io sarò stato lavato’ ti ti saiæ stæto lavou [ti saˈjɛː ˈstɛːtu laˈvɔw] ‘tu sarai stato lavato’ lê o saià stæto lavou [u saˈja ˈstɛːtu laˈvɔw] ‘egli sarà stato lavato’ niatri saiemo stæti lavæ [saˈjeːmu ˈstɛːti laˈvɛː] ‘noi saremo stati lavati’ viatri saiei stæti lavæ [saˈjej ˈstɛːti laˈvɛː] ‘voi sarete stati lavati’ lô saian stæti lavæ [saˈjaŋ ˈstɛːti laˈvɛː] ‘essi saranno stati lavati’ Congiuntivo
Presente che mi segge lavou [ˈsedʒˑe laˈvɔw] ‘che io sia lavato’ che ti ti seggi lavou [ti ˈsedʒˑi laˈvɔw] ‘che tu sia lavato’ che lê o segge lavou [u ˈsedʒˑe laˈvɔw] ‘che egli sia lavato’ che niatri seggimo lavæ [ˈsedʒimu laˈvɛː] ‘che noi siamo lavati’ che viatri seggei lavæ [seˈdʒej laˈvɛː],
seggiæ lavæ [seˈdʒɛː laˈvɛː] ‘che voi siate lavati’che lô seggian lavæ [ˈsedʒˑaŋ laˈvɛː] ‘che essi siano lavati’ Imperfetto che mi foïse lavou [ˈfwiːse laˈvɔw] ‘che io fossi lavato’ che ti ti foïsci lavou [ti ˈfwiːʃi laˈvɔw] ‘che tu fossi lavato’ che lê o foïse lavou [u ˈfwiːse laˈvɔw] ‘che egli fosse lavato’ che niatri foïscimo lavæ [ˈfwiːʃimu laˈvɛː] ‘che noi fossimo lavati’ che viatri foïsci lavæ [ˈfwiːʃi laˈvɛː] ‘che voi foste lavati’ che lô foïsan lavæ [ˈfwiːsaŋ laˈvɛː] ‘che essi fossero lavati’ Passato che mi segge stæto lavou [ˈsedʒˑe ˈstɛːtu laˈvɔw] ‘che io sia stato lavato’ che ti ti seggi stæto lavou [ti ˈsedʒˑi ˈstɛːtu laˈvɔw] ‘che tu sia stato lavato’ che lê o segge stæto lavou [u ˈsedʒˑe ˈstɛːtu laˈvɔw] ‘che egli sia stato lavato’ che niatri seggimo stæti lavæ [ˈsedʒimu ˈstɛːti laˈvɛː] ‘che noi siamo stati lavati’ che viatri seggei stæti lavæ [seˈdʒej ˈstɛːti laˈvɛː],
seggiæ stæti lavæ [seˈdʒɛː ˈstɛːti laˈvɛː] ‘che voi siate stati lavati’che lô seggian stæti lavæ [ˈsedʒˑaŋ ˈstɛːti laˈvɛː] ‘che essi siano stati lavati’ Trapassato che mi foïse stæto lavou [ˈfwiːse ˈstɛːtu laˈvɔw] ‘che io fossi stato lavato’ che ti ti foïsci stæto lavou [ti ˈfwiːʃi ˈstɛːtu laˈvɔw] ‘che tu fossi stato lavato’ che lê o foïse stæto lavou [u ˈfwiːse ˈstɛːtu laˈvɔw] ‘che egli fosse stato lavato’ che niatri foïscimo stæti lavæ [ˈfwiːʃimu ˈstɛːti laˈvɛː] ‘che noi fossimo stati lavati’ che viatri foïsci stæti lavæ [ˈfwiːʃi ˈstɛːti laˈvɛː] ‘che voi foste stati lavati’ che lô foïsan stæti lavæ [ˈfwiːsaŋ ˈstɛːti laˈvɛː] ‘che essi fossero stati lavati’ Condizionale
Presente mi saieiva lavou [saˈjejva laˈvɔw],
saiæ lavou [saˈjɛː laˈvɔw] ‘io sarei lavato’ti ti saiësci lavou [ti saˈjeːʃi laˈvɔw] ‘tu saresti lavato’ lê o saieiva lavou [u saˈjejva laˈvɔw],
o saiæ lavou [u saˈjɛː laˈvɔw] ‘egli sarebbe lavato’niatri saiëscimo lavæ [saˈjeːscimu laˈvɛː] ‘noi saremmo lavati’ viatri saiësci lavæ [saˈjeːʃi laˈvɛː] ‘voi sareste lavati’ lô saieivan lavæ [saˈjejvaŋ laˈvɛː],
saiæn lavæ [saˈjɛːŋ laˈvɛː] ‘essi sarebbero lavati’Passato mi saieiva stæto lavou [saˈjejva ˈstɛːtu laˈvɔw],
saiæ stæto lavou [saˈjɛː ˈstɛːtu laˈvɔw] ‘io sarei stato lavato’ti ti saiësci stæto lavou [ti saˈjeːʃi ˈstɛːtu laˈvɔw] ‘tu saresti stato lavato’ lê o saieiva stæto lavou [u saˈjejva ˈstɛːtu laˈvɔw],
o saiæ stæto lavou [u saˈjɛː ˈstɛːtu laˈvɔw] ‘egli sarebbe stato lavato’niatri saiëscimo stæti lavæ [saˈjeːscimu ˈstɛːti laˈvɛː] ‘noi saremmo stati lavati’ viatri saiësci stæti lavæ [saˈjeːʃi ˈstɛːti laˈvɛː] ‘voi sareste stati lavati’ lô saieivan stæti lavæ [saˈjejvaŋ ˈstɛːti laˈvɛː],
saiæn stæti lavæ [saˈjɛːŋ ˈstɛːti laˈvɛː] ‘essi sarebbero stati lavati’Imperativo
seggi lavou [ˈsedʒˑi laˈvɔw] ti ‘sii tu lavato’ ch’o segge lavou [u ˈsedʒˑe laˈvɔw] lê ‘sia lui lavato’ seggimo lavæ [ˈsedʒimu] niatri ‘siamo noi lavati’ seggiæ lavæ [seˈdʒɛː laˈvɛː] viatri,
seggei lavæ [seˈdʒej laˈvɛː] viatri ‘siate voi lavati’seggian lavæ [ˈsedʒˑaŋ laˈvɛː] lô ‘siano essi lavati’ Infinito
Presente ëse lavou [ˈeːse laˈvɔw] ‘essere lavato’ Passato ëse stæto lavou [ˈeːse ˈstɛːtu laˈvɔw] ‘essere stato lavato’ Participio passato
stæto lavou [ˈstɛːtu laˈvɔw] ‘stato lavato’ Gerundio
Presente essendo lavou [eˈseŋdu laˈvɔw] ‘essendo lavato’ Passato essendo stæto lavou [eˈseŋdu ˈstɛːtu laˈvɔw] ‘essendo stato lavato’ -
Coniugazione riflessiva.
Indicativo
Presente mi me lavo [ˈlaːvu] ‘io mi lavo’ ti ti te lavi [ti te ˈlaːvi] ‘tu tu lavi’ lê o se lava [u se ˈlaːva] ‘egli si lava’,
a se lava [a se ˈlaːva] ‘ella si lava’niatri se lavemmo [se laˈvemˑu] ‘noi ci laviamo’ viatri ve lavæ [ve laˈvɛː] ‘voi vi lavate’ lô se lavan [se ˈlaːvaŋ] ‘essi si lavano’ Imperfetto mi me lavava [laˈvaːva] ‘io mi lavavo’ ti ti te lavavi [ti te laˈvaːvi] ‘tu ti lavavi’ lê o se lavava [u se laˈvaːva] ‘egli si lavava’ niatri se lavavimo [se laˈvaːvimu] ‘noi ci lavavamo’ viatri ve lavavi [ve laˈvaːvi] ‘voi vi lavavate’ lô se lavavan [se laˈvaːvaŋ] ‘essi si lavavano’ Futuro semplice mi me laviò [me laviˈɔ] ‘io mi laverò’ ti ti te laviæ [ti te laviˈɛː] ‘tu ti laverai’ lê o se lavià [u se laviˈa] ‘egli si laverà’ niatri se laviemo [se laviˈeːmu] ‘noi ci laveremo’ viatri ve laviei [ve laviˈej] ‘voi vi laverete’ lô se lavian [se laviˈaŋ] ‘essi si laveranno’ Passato prossimo diretto mi me son lavou [me ˈsuŋ laˈvɔw] ‘io mi sono lavato’ ti ti t’ê lavou [ti t ˈɛː laˈvɔw] ‘tu ti sei lavato’ lê o s’é lavou [u s ˈe laˈvɔw] ‘egli si è lavato’ niatri se semmo lavæ [se ˈsemˑu laˈvɛː] ‘noi ci siamo lavati’ viatri ve sei lavæ [ve ˈsej laˈvɛː] ‘voi vi siete lavati’ lô se son lavæ [se ˈsuŋ laˈvɛː],
s’en lavæ [s ˈeŋ laˈvɛː] ‘essi si sono lavati’Passato prossimo indiretto mi m’ò lavou (e moen) [m ˈɔ laˈvɔw e ˈmwɛŋ] ‘io mi sono lavato (le mani)’ ti ti t’æ lavou [ti t ˈɛː laˈvɔw] ‘tu ti sei lavato’ lê o s’à lavou [u s ˈa laˈvɔw] ‘egli si è lavato’ niatri s’emmo lavou [s ˈemˑu laˈvɔw] ‘noi ci siamo lavati’ viatri v’ei lavou [v ˈej laˈvɔw] ‘voi vi siete lavati’ lô s’an lavou [s ˈaŋ laˈvɔw] ‘essi si sono lavati’ Trapassato prossimo diretto mi m’ea lavou [m ˈeːa laˈvɔw] ‘io mi ero lavato’ ti t’ëi lavou [t ˈeːi laˈvɔw] ‘tu ti eri lavato’ lê o s’ea lavou [u s ˈeːa laˈvɔw] ‘egli si era lavato’ niatri s’eimo lavou [s ˈejmu laˈvɔw],
s’emo lavou [s ˈeːmu laˈvɔw] ‘noi ci eravamo lavati’viatri v’ëi lavou [v ˈeːi laˈvɔw] ‘voi vi eravate lavati’ lô s’an lavou [s ˈaŋ laˈvɔw] ‘essi si erano lavati’ Trapassato prossimo indiretto mi m’aveiva lavou (e moen) [m aˈvejva laˈvɔw e ˈmwɛŋ] ‘io mi ero lavato (le mani)’ ti ti t’aveivi lavou [ti t aˈvejvi laˈvɔw] ‘tu ti eri lavato’ lê o s’aveiva lavou [u s aˈvejva laˈvɔw] ‘egli si era lavato’ niatri s’aveivimo lavou [s aˈvejvimu laˈvɔw] ‘noi ci eravamo lavati’ viatri v’aveivi lavou [v aˈvejvi laˈvɔw] ‘voi vi eravate lavati’ lô s’aveivan lavou [s aˈvejvaŋ laˈvɔw] ‘essi si erano lavati’ Futuro anteriore diretto mi me saiò lavou [saˈjɔ laˈvɔw] ‘io mi sarò lavato’ ti ti te saiæ lavou [ti te saˈjɛː laˈvɔw] ‘tu ti sarai lavato’ lê o se saià lavou [u se saˈja laˈvɔw] ‘egli si sarà lavato’ niatri se saiemo lavæ [se saˈjeːmu laˈvɛː] ‘noi ci saremo lavati’ viatri ve saiei lavæ [ve saˈjej laˈvɛː] ‘voi vi sarete lavati’ lô se saian lavæ [se saˈjaŋ laˈvɛː] ‘essi si saranno lavati’ Futuro anteriore indiretto mi m’aviò lavou (e moen) [m aviˈɔ laˈvɔw e ˈmwɛŋ] ‘io mi sarò lavato (le mani)’ ti ti t’aviæ lavou [ti t aviˈɛː laˈvɔw] ‘tu ti sarai lavato’ lê o s’avià lavou [u s aviˈa laˈvɔw] ‘egli si sarà lavato’ niatri s’aviemo lavou [s aviˈeːmu laˈvɔw] ‘noi ci saremo lavati’ viatri v’aviei lavou [v aviˈej laˈvɔw] ‘voi vi sarete lavati’ lô s’avian lavou [s aviˈaŋ laˈvɔw] ‘essi si saranno lavati’ Congiuntivo
Presente che mi me lave [me ˈlaːve] ‘che io mi lavi’ che ti ti te lavi [ti te ˈlaːvi] ‘che tu ti lavi’ che lê o se lave [u se ˈlaːve] ‘che egli si lavi’ che niatri se lavemmo [se laˈvemˑu] ‘che noi ci laviamo’ che viatri ve lavæ [ve laˈvɛː] ‘che voi vi laviate’ che lô se lavan [se ˈlaːvaŋ] ‘che essi si lavino’ Imperfetto che mi me lavesse [me laˈvesˑe] ‘che io mi lavassi’ che ti ti te lavesci [ti te laˈveʃˑi] ‘che tu ti lavassi’ che lê o se lavesse [u se laˈvesˑe] ‘che egli si lavasse’ che niatri se lavescimo [se laˈveʃimu] ‘che noi ci lavassimo’ che viatri ve lavesci [ve laˈveʃˑi] ‘che voi vi lavaste’ che lô se lavessan [se laˈvesˑaŋ] ‘che essi si lavassero’ Passato diretto che mi me segge lavou [ˈsedʒˑe laˈvɔw] ‘che io mi sia lavato’ che ti ti te seggi lavou [ti te ˈsedʒˑi laˈvɔw] ‘che tu ti sia lavato’ che lê o se segge lavou [u se ˈsedʒˑe laˈvɔw] ‘che egli si sia lavato’ che niatri se seggimo lavou [se ˈsedʒimu laˈvɛː] ‘che noi ci siamo lavati’ che viatri ve seggei lavæ [ve ˈsedʒej laˈvɛː],
ve seggiæ lavæ [ve ˈsedʒɛː laˈvɛː] ‘che voi vi siate lavati’che lô se seggian lavæ [se ˈsedʒˑaŋ laˈvɛː] ‘che essi si siano lavati’ Passato indiretto che mi m’agge lavou (e moen) [m ˈadʒˑe kaŋˈtɔw e ˈmweŋ] ‘che io mi sia lavato (le mani)’ che ti ti t’aggi lavou [ti t ˈadʒˑi kaŋˈtɔw] ‘che tu ti sia lavato’ che lê o s’agge lavou [u s ˈadʒˑe kaŋˈtɔw] ‘che egli si sia lavato’ che niatri s’aggimo lavou [s ˈadʒimu kaŋˈtɔw] ‘che noi ci siamo lavati’ che viatri v’aggei lavou [v aˈdʒej kaŋˈtɔw],
v’aggiæ lavou [v aˈdʒɛː kaŋˈtɔw] ‘che voi vi siate lavati’che lô s’aggian lavou [s ˈadʒˑaŋ kaŋˈtɔw] ‘che essi si siano lavati’ Trapassato diretto che mi me foïse lavou [ˈfwiːse laˈvɔw] ‘che io mi fossi lavato’ che ti ti te foïsci lavou [ti te ˈfwiːʃi laˈvɔw] ‘che tu ti fossi lavato’ che lê o se foïse lavou [u se ˈfwiːse laˈvɔw] ‘che egli si fosse lavato’ che niatri se foïscimo lavou [se ˈfwiːʃimu laˈvɛː] ‘che noi ci fossimo lavati’ che viatri ve foïsci lavou [ve ˈfwiːʃi laˈvɛː] ‘che voi vi foste lavati’ che lô se foïsan lavou [se ˈfwiːsaŋ laˈvɛː] ‘che essi si fossero lavati’ Trapassato indiretto che mi m’avesse lavou (e moen) [m aˈvesˑe laˈvɔw e ˈmweŋ] ‘che io mi fossi lavato (le mani)’ che ti ti t’avesci lavou [ti t aˈveʃˑi laˈvɔw] ‘che tu ti fossi lavato’ che lê o s’avesse lavou [u s aˈvesˑe laˈvɔw] ‘che egli si fosse lavato’ che niatri s’avescimo lavou [s aˈveʃimu laˈvɔw] ‘che noi ci fossimo lavato’ che viatri v’avesci lavou [v aˈveʃˑi laˈvɔw] ‘che voi vi foste lavati’ che lô s’avessan lavou [s aˈvesˑaŋ laˈvɔw] ‘che essi si fossero lavati’ Condizionale
Presente mi me lavieiva [me laviˈejva],
me laviæ [me laviˈɛː] ‘io mi laverei’ti ti te laviësci [ti te laviˈeːʃi] ‘tu ti laveresti’ lê o se lavieiva [u se laviˈejva],
o se laviæ [u se laviˈɛː] ‘egli si laverebbe’niatri se laviëscimo [se laviˈeːscimu] ‘noi ci laveremmo’ viatri ve laviësci [ve laviˈeːʃi] ‘voi vi lavereste’ lô se lavieivan [se laviˈejvaŋ],
se laviæn [se laviˈɛːŋ] ‘essi si laverebbero’Passato diretto mi me saieiva lavou [me saˈjejva laˈvɔw],
me saiæ lavou [saˈjɛː laˈvɔw] ‘io mi sarei lavato’ti ti te saiësci lavou [ti te saˈjeːʃi laˈvɔw] ‘tu ti saresti lavato’ lê o se saieiva lavou [u se saˈjejva laˈvɔw],
o se saiæ lavou [u se saˈjɛː laˈvɔw] ‘egli si sarebbe lavato’niatri se saiëscimo lavou [se saˈjeːscimu laˈvɔw] ‘noi ci saremmo lavati’ viatri ve saiësci lavou [ve saˈjeːʃi laˈvɔw] ‘voi vi sareste lavati’ lô se saieivan lavou [se saˈjejvaŋ laˈvɔw],
se saiæn lavou [se saˈjɛːŋ laˈvɔw] ‘essi si sarebbero lavati’Passato indiretto mi m’avieiva lavou (e moen) [m aviˈejva laˈvɔw e ˈmwɛŋ],
m’aviæ lavou (e moen) [aviˈɛː laˈvɔwe ˈmwɛŋ] ‘io mi sarei lavato (le mani)’ti ti t’aviësci lavou [ti t aviˈeːʃi laˈvɔw] ‘tu ti saresti lavato’ lê o s’avieiva lavou [u s aviˈejva laˈvɔw],
o s’aviæ lavou [u s aviˈɛː laˈvɔw] ‘egli si sarebbe lavato’niatri s’aviëscimo lavou [s aviˈeːscimu laˈvɔw] ‘noi ci saremmo lavati’ viatri v’aviësci lavou [v aviˈeːʃi laˈvɔw] ‘voi vi sareste lavati’ lô s’avieivan lavou [s aviˈejvaŋ laˈvɔw],
s’aviæn lavou [s aviˈɛːŋ laˈvɔw] ‘essi si sarebbero lavati’Imperativo
lavite [ˈlavite] ti ‘lavati tu’ ch’o se lave [u se ˈlaːve] lê ‘si lavi egli’ lavemmose [laˈvemˑuse] niatri ‘laviamoci noi’ lavæve [laˈvɛːve] viatri ‘lavateevi voi’ se lavan [se ˈlaːvaŋ] lô ‘si lavino essi’ Infinito
Presente lavâse (lavâme, lavâte, ecc.) [laˈvaːse], [laˈvaːme],[laˈvaːte] ‘lavarsi (lavarmi, lavarti, ecc.)’ Passato diretto ësise lavou [ˈeːsise laˈvɔw] ‘essersi lavato’ Passato indiretto aveise lavou (e moen) [aˈvejse laˈvɔw e ˈmwɛŋ] ‘essersi lavato (le mani)’ Participio passato
lavou [kaŋˈtɔw] ‘cantato’ Gerundio
Presente lavandose (lavandome, lavandote, ecc.) [laˈvaŋduse], [laˈvaŋdume], [laˈvaŋdute] ‘lavandosi (lavavndomi, lavandoti, ecc.)’ Passato diretto essendose lavou [eˈseŋduse laˈvɔw] ‘essendosi lavato’ Passato indiretto avendose lavou (e moen) [aˈveŋduse laˈvɔw e ˈmwɛŋ] ‘essendosi lavato (le mani)’ Si ricordi che davanti al pronome enclitico la seconda persona dell’imperativo della prima coniugazione assume la desinenza ⟨-i⟩: lava [ˈlaːva] → lavite [ˈlaːvite].
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Verbi impersonali
I verbi impersonali sono privi di un soggetto determinato, e si adoperano solo nei modi indefiniti o nella terza persona dei modi finiti.
Alcuni verbi sono impersonali in forma stabile: si tratta di verbi che indicano un fenomeno atmosferico (o ceuve [u ˈtʃøːve] ‘piove’, o neiva [u ˈnejva] ‘nevica’, o gragneua [u ɡraˈɲøːa] ‘grandina’, o troña [u ˈtruŋˑa] ‘tuona’, ecc.) e di locuzioni composte da fâ [ˈfaː] ‘fare’ o vegnî [veˈɲiː] ‘diventare’ seguiti da un aggettivo o un sostantivo: fa freido [ˈfa ˈfrejdu] ‘fa freddo’, vëgne neutte [ˈveːɲe ˈnøtˑe] ‘annotta’ ecc.
Altri verbi (in particolare bastâ [basˈtaː] ‘bastare’ e beseugnâ [bezøˈɲaː] o busâ [byˈzaː] ‘bisognare’) si adoperano di volta in volta nel costrutto impersonale e in quello personale: me basta che ô sacce lê [me ˈbasta kɔw ˈsatʃˑe ˈleː] ‘mi basta che lo sappia lui’; beseugna dîghelo [beˈzøɲˑa ˈdiːɡelu] ‘bisogna dirglielo’, busâ che vagghe [byˈzaː ke ˈvaɡˑe] ‘bisogna che vada’. In realtà i verbi di questo secondo gruppo hanno un soggetto anche nell’uso impersonale, ossia la proposizione soggettiva. Per i verbi e le locuzioni verbali che presentano costrutto impersonale (pai [ˈpaj] ‘sembrare’, bastâ [basˈtaː] ‘bastare’, ëse cao [ˈeːse ˈkaːu] ‘preferire’, ëse ciæo [ˈeːse ˈtʃɛːu] ‘essere chiaro’, vegnî tardi [ˈveɲiː ˈtaːrdi] ‘farsi tardi’ ecc., v. XIV 45-46.
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Vi sono altri modi per esprimere il costrutto impersonale:
pronome atono se [se] ‘se’ + verbo intransitivo, o transitivo attivo senza oggetto espresso, o passivo: se diva che Zena a l’é stæta fondâ da Giano [se ˈdiːva ke ˈzeːna a l ˈe ˈstɛːta fuŋˈdaː da ˈdʒaːnu] ‘si diceva che Genova sia stata fondata da Giano’;
terza persona di un verbo in diatesi passiva: no l’é dïto ch’o no segge bon [nu l ˈe ˈdiːtu k u nu ˈsedʒˑe ˈbuŋ] ‘non è detto che non sia buono’;
pronome indefinito (un [ˈyŋ] ‘uno’ o quarchedun [ˌkwarkeˈdyŋ] ‘qualcuno’) come soggetto generico;
seconda o sesta persona di un verbo: ciamman, vanni à vedde chi gh’é [ˈtʃamˑaŋ ˈvanˑi a ˈvedˑe ˈki ɡ ˈe] ‘chiamano, va’ a vedere chi è’; divan ch’o s‘ea fæto di nemixi [ˈdiːvaŋ k u s ˈeːa ˈfɛːtu di neˈmiːʒi] ‘dicono che si era fatto dei nemici’.
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Verbi difettivi.
Alcuni verbi, per lo più impersonali, possiedono solo alcune voci.
Beseugnâ [bezøˈɲaː] ‘bisognare’; si usano solo le terze persone di tutti i tempi e modi: beseugna che parte [beˈzøɲˑa ke ˈpaːrte]; è sinonimo la serie busâ [byˈzaː] ‘bisogna’, busava [byˈzaːva] ‘bisognava’, busörià [byzɔːriˈa], busörieiva [byzɔːriˈejva] o busöriæ [byzɔːriˈɛː], busesse [byˈzesˑe] ‘bisognasse’: busava partî fito [byˈzaːva parˈtiː ˈfiːtu] ‘bisognava partire presto’; no busâ parlane [nu byˈzaː parˈlaːne] ‘non bisogna parlarne’.
Luxî [lyˈʒiː] ‘splendere’, reluxî [relyˈʒiː] ‘risplendere’, straluxî [stralyˈʒiː] ‘traslucere’: normalmente si adoperano solo la terza e la sesta persoa.
Smangiâ [zmaŋˈdʒaː] ‘prudere’: sono in uso la terza e la sesta persona dell’indicativo presente, imperfetto, futuro, del congiuntivo presente e imperfetto, del condizionale presente, del gerundio presente.
Söle [ˈsɔːle] ‘essere soliti’: soltanto nell’espressione comme se söle dî [ˈkumˑe se ˈsɔːle ˈdiː] ‘come si suol dire’, comme soleivan dî [ˈkumˑe suˈlejvan ˈdiː] ‘come erano soliti dire’, ecc.
Altri verbi difettivi di singole forme saranno indicati tra i verbi irregolari.
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Verbi irregolari.
Sono quei verbi che differiscono in modo più o meno netto dal modello di coniugazione al quale appartengono. I tipi fondamentali di irregolarità sono tre:
verbi con alternanza vocalica, con radicale contenente [ɔ], [ø] ed [e] che passano rispettivamente a [u], [y] ed [ej] in varie fasi della flessione;
concorrenza di più radici nel corso della coniugazione, come in anâ [aˈnaː] o andâ [aŋˈdaː] ‘andare’ (⟨an-⟩/⟨and-⟩, ⟨vag-⟩) o in dovei [duˈvej] ‘dovere’ (⟨dov-⟩, ⟨dev-⟩);
presenza di desinenze imprevedibili nell’ambito del paradigma.
Segue ora un elenco dei principali verbi irregolari genovesi, distinti in base alla coniugazione. I verbi composti sono indicati sotto la voce principale. Per brevità si omettono le forme secondarie o locali.
Irregolari della prima coniugazione
asmortâ ‘spegnere’: indicativo presente mi asmòrto [ˈmi azˈmɔːrtu] ‘io spengo’, ti ti asmòrti [ˈti ti azˈmɔːrti] ‘tu spegni’, lê o l’asmòrta [ˈleː u l azˈmɔːrta] ‘egli spegne’, niatri asmortemmo [niˈaːtri azmurˈtemˑu] ‘noi spegniamo’, viatri asmortæ [viˈaːtri azmurˈtɛː] ‘voi spegnete’, lô asmòrtan [ˈluː azˈmɔːrtan] ‘essi spengono’; congiuntivo che mi asmòrte [ke ˈmi azˈmɔːrte] ‘che io spenga’, che ti ti asmòrti [ke ˈti ti azˈmɔːrti] ‘che tu spenga’, che lê o l’asmòrte [ke ˈleː u l azˈmɔːrte] ‘che egli spenga’, che niatri asmortemmo [ke niˈaːtri azmurˈtemˑu] ‘che noi spegniamo’, che viatri asmortæ [ke viˈaːtri azmurˈtɛː] ‘che voi spegniate’, che lô asmòrtan [ke ˈluː azˈmɔːrtan] ‘che essi spengano’; imperativo presente asmòrta ti [azˈmɔːrta ˈti] ‘spegni tu’, ch’o l’asmòrte lê [k u l azˈmɔːrte ˈleː] ‘spenga egli’, asmortemmo niatri [azmurˈtemˑu niˈaːtri] ‘spegniamo noi’, asmortæ viatri [azmurˈtɛː viˈaːtri] ‘spegnete voi’, ch’asmòrtan lô [k azˈmɔːrtaŋ ˈluː] ‘spengano essi’ participio passato asmòrto [azˈmɔːrtu] ‘spento’. Il resto della coniugazione è regolare col tema in ⟨o⟩ [u].
anâ [aˈnaː] e andâ [aŋˈdaː] ‘andare’: indicativo presente, mi vaggo [ˈmi ˈvaɡˑu] (o vaddo [ˈvadˑu]) ‘io vado’, ti ti væ [ˈti ti ˈvɛː] ‘tu vai’, lê o va [ˈleː u ˈva] ‘egli va’, niatri anemmo [niˈaːtri aˈnemˑu] / andemmo [aŋˈdemˑu] ‘noi andiamo’, viatri anæ [viˈaːtri aˈnɛː] / andæ [aŋˈdɛː] ‘voi andate’, lô van [ˈluː ˈvaŋ] ‘essi vanno’; congiuntivo presente che mi vagghe [ke ˈmi ˈvaɡˑe] (o vadde [ˈvadˑe]) ‘che io vada’, che ti ti vagghi [ke ˈti ti ˈvaɡˑi] (o vaddi [ˈvadˑi]), ‘che tu vada’, che lê o vagghe [ke ˈleː u ˈvaɡˑe] (o vadde [ˈvadˑe]) ‘che egli vada’, che niatri anemmo [ke niˈaːtri aˈnemˑu] / andemmo [aŋˈdemˑu] ‘che noi andiamo’, che viatri anæ [ke ˈvjatri aˈnɛː] / andæ [aŋˈdɛː] ‘che voi andiate’, che lô vaggan [ke ˈluː ˈvaɡˑaŋ] (o vaddan [ˈvadˑaŋ]) ‘che essi vadano’; imperativo vanni [ˈvanˑi] ‘vai’, ch’o vagghe [k u ˈvaɡˑe] (o vadde [ˈvadˑe]) ‘vada egli’, anemmo [aˈnemˑu] / andemmo niatri [aŋˈdemˑu niˈaːtri] ‘andiamo noi’, anæ [aˈnɛː] / andæ viatri [aŋˈdɛː viˈaːtri] ‘andate voi’, vaggan [ˈvaɡˑaŋ] (o vaddan [ˈvadˑaŋ]) lô [ˈluː] ‘vadano essi’; participio passato anæto [aˈŋɛːtu] / andæto [aŋˈdɛːtu] ‘andato’. Il resto della coniugazione è regolare nei temi ⟨an-⟩ o ⟨and-⟩, che hanno identico valore;
buttâ [byˈtaː] ‘buttare’ e ‘germogliare’: indicativo presente, mi beutto [mi ˈbøtˑu] ‘io butto’, ti ti beutti [ˈti ti ˈbøtˑi] ‘tu butti’, lê o beutta [ˈleː u ˈbøtˑa] ‘egli butta’, niatri buttemmo [niˈaːtri byˈtemˑu] ‘noi buttiamo’, viatri buttæ [viˈaːtri byˈtɛː] ‘voi buttate’, lô beuttan [ˈluː ˈbøtˑaŋ] ‘essi buttano’; congiuntivo presente che mi beutte [ke ˈmi ˈbøtˑe] ‘che io butti’, che ti ti beutti [ke ˈti ti ˈbøtˑi] ‘che tu butti’, che lê o beutte [ke ˈleː u ˈbøtˑe] ‘che egli butti’, che niatri buttemmo [ke niˈaːtri byˈtemˑu] ‘che noi buttiamo’, che viatri buttæ [ke viˈaːtri byˈtɛː] ‘che voi buttiate’, che lô beuttan [ke ˈluː ˈbøtˑaŋ] ‘che essi buttino’; imperativo presente beutta ti [ˈbøtˑa ˈti] ‘butta tu’, ch’o beutte [k u ˈbøtˑe] ‘che egli butti’, buttemmo [byˈtemˑu] ‘buttiamo noi, buttæ [byˈtɛː] ‘buttate voi’, che lô beuttan [ke ˈluː ˈbøtˑaŋ] ‘buttino essi’. Per il resto la coniugazione è regolare col tema in ⟨u⟩ [y];
cegâ [tʃeˈɡaː] ‘piegare’: indicativo presente, mi ceigo [ˈmi ˈtʃejɡu] ‘io piego’, ti ti ceighi [ˈti ti ˈtʃejɡi] ‘tu pieghi’, lê o ceiga [ˈleː u ˈtʃejɡa] ‘egli piega’, niatri ceghemmo [niˈaːtri tʃeˈɡemˑu] ‘noi pieghiamo’, viatri cegæ [viˈaːtri tʃeˈɡɛː] ‘voi piegate’, lô ceigan [ˈluː ˈtʃejɡan] ‘essi piegano’; congiuntivo presente che mi ceighe [ke ˈmi ˈtʃejɡe] ‘che io pieghi’, che ti ti ceighi [ke ˈti ti ˈtʃejɡi] ‘che tu pieghi’, che lê o ceighe [ke ˈleː u ˈtʃejɡe] ‘che egli pieghi’, che niatri ceghemmo [ke niˈaːtri tʃeˈɡemˑu] ‘che noi pieghiamo’, che viatri cegæ [ke viˈaːtri tʃeˈɡɛː] ‘che voi pieghiate’, che lô ceigan [ke ˈluː ˈtʃejɡaŋ] ‘che essi pieghino’; imperativo presente ceiga ti [ˈtʃejɡa ˈti] ‘piega tu’, ch’o ceighe lê [k u ˈtʃejɡe ˈleː] ‘che pieghi egli’, ceghemmo niatri [tʃeˈɡemˑu niˈaːtri] ‘pieghiamo noi’, cegæ viatri [tʃeˈɡɛː viˈaːtri] ‘piegate voi’, ceigan lô [ˈtʃejɡaŋ ˈluː] ‘pieghino essi’. Per il resto la coniugazione è regolare col tema in [e].
dâ [ˈdaː] ‘dare’: indicativo presente mi daggo [ˈmi ˈdaɡˑu] ‘io dò’, ti ti dæ [ˈti ti ˈdɛː] ‘tu dai’, lê o dà [ˈleː u ˈda] ‘egli dà’, niatri demmo [niˈaːtri ˈdemˑu] ‘noi diamo’, viatri dæ [viˈaːtri ˈdɛː] ‘voi date’, lô dan ˆ ‘essi danno’; congiuntivo presente che mi dagghe [ke ˈmi ˈdaɡˑe] ‘che io dia’, che ti ti dagghi [ke ˈti ti ˈdaɡˑi] ‘che tu dia’, che lê o dagghe [ke ˈleː u ˈdaɡˑe] ‘che egli dia’, che niatri demmo [ke niˈaːtri ˈdemˑu] ‘che noi diamo’, che viatri dæ [ke viˈaːtri ˈdɛː] ‘che voi diate’, che lô daggan [ke ˈluː ˈdaɡˑaŋ] ‘che essi diano’; imperativo danni ti [ˈdanˑi ˈti] ‘dai tu’, ch’o dagghe lê [k u ˈdaɡˑe ˈleː] ‘dia egli’, demmo niatri [ˈdemu niˈaːtri] ‘diamo noi’, dæ viatri [ˈdɛː viˈaːtri] ‘date voi’, daggan lô [ˈdaɡˑaŋ ˈluː] ‘diano essi’; participio passato dæto [ˈdɛːtu] ‘dato’. Per il resto la coniugazione è regolare, con le desinenze unite direttamente alla radice ⟨d-⟩/⟨da-⟩ (mi dava [ˈmi ˈdaːva] ‘io davo’, mi daiò [ˈmi daˈjɔ] ‘io darò’, che mi desse [ke ˈmi ˈdesˑe] ‘che io dessi’, mi daieiva [ˈmi daˈjejva] ‘io darei’ ecc.);
fâ [ˈfaː] ‘fare’: indicativo presente mi fasso [ˈmi ˈfasˑu] ‘io faccio’, ti ti fæ [ˈti ti ˈfɛː] ‘tu fai’, lê o fa [ˈleː u ˈfa] ‘egli fa’, niatri femmo [niˈaːtri ˈfemˑu] ‘noi facciamo’, viatri fæ [viˈaːtri ˈfɛː] ‘voi fate’, lô fan [ˈluː ˈfaŋ] ‘essi fanno’; imperfetto mi fava [ˈmi ˈfaːva] ‘io facevo’, ti ti favi [ˈti ti ˈfaːvi] ‘tu facevi’, ecc. (oppure mi faxeiva [ˈmi faˈʒejva] ‘io facevo’, ti ti faxeivi [ˈti ti faˈʒejvi] ‘tu facevi’, ecc.); futuro mi faiò [ˈmi faˈjɔ] ‘io farò’, ti ti faiæ [ˈti ti faˈjɛː] ‘tu farai’, ecc.; congiuntivo presente che mi fasse [ke ˈmi ˈfasˑe] ‘che io faccia’, che ti ti fasci [ke ˈti ti ˈfaʃˑi] ‘che tu faccia’, che lê o fasse [ke ˈleː u ˈfasˑe] ‘che egli faccia’, che niatri femmo [ke niˈaːtri ˈfemˑu] ‘che noi facciamo’, che viatri fæ [ke viˈaːtri ˈfɛː] ‘che voi facciate’, che lô fassan [ke ˈluː ˈfasˑaŋ] ‘che essi facciano’; imperfetto che mi fesse [ke ˈmi ˈfesˑe] ‘che io facessi’, che ti ti fesci [ke ˈti ti ˈfeʃˑi] ‘che tu facessi’, che lê o fesse [ke ˈleː u ˈfesˑe] ‘che egli facesse’, che niatri fescimo [ke niˈaːtri ˈfeʃimu] ‘che noi facessimo’, che viatri fesci [ke viˈaːtri ˈfeʃˑi] ‘che voi faceste’, che lô fessan [ke ˈluː ˈfesˑaŋ] ‘che essi facessero’ (oppure che mi faxesse [ke ˈmi faˈʒesˑe], che ti ti faxesci [ke ˈti ti faˈʒeʃˑi], ecc.); condizionale presente, mi faieiva [ˈmi faˈjejva] o faiæ [faˈjɛː] ‘io farei’, ti ti faiësci [ˈti ti faˈjeːʃi] ‘tu faresti’, ecc.: imperativo fanni [ˈfanˑi] ‘fai’, ch’o fasse [k u ˈfasˑe] ‘faccia’, femmo [ˈfemˑu] ‘facciamo’, fæ [ˈfɛː] ‘fate’, fassan [ˈfasˑaŋ] ‘facciano’; participio passato fæto [ˈfɛːtu] ‘fatto’; gerundio presente fando [ˈfaŋdu] o faxendo [faˈʒɛŋdu] ‘facendo’. I composti di fâ [ˈfaː] ‘fare’ (assuefâ [asweˈfaː] ‘abituare’, refâ [reˈfaː] ‘rifare’ ecc.) si adeguano al paradigma di fâ [ˈfaː] tranne desfâ [desˈfaː] ‘disfare’ e satisfâ [satisˈfaː] ‘soddisfare’, che si coniugano come verbi regolari tranne nel participio passanto desfæto [desˈfɛːtu] ‘disfatto’ e satisfæto [satisˈfɛːtu] ‘soddisfatto’;
guägnâ [ɡwaːˈɲaː] ‘guadagnare’, ‘vincere’: participio passato guägno [ˈɡwaːɲu] ‘guadagnato’ e ‘vinto’; di raro uso guägnou [ɡwaːˈɲɔw]. Anche altri participi passati presentano in alternativa alla forma regolare la possibilità di essere sostituiti da aggettivi verbali: ad esempio carregâ [kareˈɡaː] ‘caricare’ ha carregou [careˈɡɔw] ‘caricato’ e carrego [ˈkaːreɡu] ‘carico’, guastâ [ɡwasˈtaː] ‘guastare’ ha guastou [ɡwasˈtɔw] ‘guastato’ e guasto [ˈɡwastu] ‘guasto’, meuiâ [møˈjaː] ‘maturare’ ha meuiou [ˈmøjˑɔw] ‘maturato’ e meuio [ˈmøjˑu] ‘maturo’, nissâ [niˈsaː] ‘schiacciare’, ‘ammaccare’ ha nissou [niˈsɔw] e nisso [ˈnisˑu] ‘ammaccato’, scoâse [ˈskwaːse] ‘inzupparsi’ ha preferibilmente scoo [ˈskuːu] ‘zuppo’, ecc;
mollâ [muˈlaː] ‘mollare’: si coniuga come asmortâ [azmurˈtaː] ‘spegnere’; partipio passato mollou [muˈlɔw] ‘mollato’;
peâ [peˈaː] ‘pelare’: si coniuga come cegâ [tʃeˈɡaː] ‘piegare’: mi peio [mi ˈpejˑu] ‘io pelo’, ecc.;
portâ ‘portare’: si coniuga come asmortâ [azmurˈtaː] ‘spegnere’; participio passato portou [purˈtɔw] ‘portato’;
scciuppâ [ʃtʃyˈpaː] ‘scoppiare’: si coniuga come buttâ [byˈtaː] ‘buttare’;
seuâ [søˈaː] ‘risuolare’: presente indicativo mi seuo [ˈmi ˈsøːu] ‘io risuolo’, ti ti seui [ˈti ti ˈsøːi] ‘tu risuoli’, lê o seua [ˈleː u ˈsøːa] ‘egli risuola’, niatri soemmo [niˈaːtri ˈswemˑu] ‘noi risuoliamo’, viatri soæ [viˈaːtri ˈswɛː] ‘voi risuolate’, lô seuan [ˈluː ˈsøːaŋ] ‘essi risuolano’. Per il resto, la coniugazione è regolare nel tema in ⟨o⟩ [u];
stâ [ˈstaː] ‘stare’: segue la stessa coniugazione di dâ [ˈdaː] ‘dare’ (presente indicativo mi staggo [ˈmi ˈstaɡˑu] ‘io sto’, ti ti stæ [ˈti ti ˈstɛː] ‘tu stai’, ecc.);
sunnâ [syˈnaː] ‘suonare’: segue la stessa coniugazione di buttâ [byˈtaː] ‘buttare’;
trâ [ˈtraː] ‘trarre’: presente indicativo mi trao [ˈmi ˈtraːu] ‘io traggo’, ti ti træ [ˈti ti ˈtrɛː] ‘tu trai’, lê o trâ [ˈleː u ˈtraː] ‘egli trae’, niatri traemmo [niˈaːtri traˈemˑu], viatri traei [viˈaːtri traˈejː] ‘voi traete’, lô tran [ˈluː ˈtraŋ] essi traggono’; imperfetto indicativo mi traeiva [ˈmi traˈejva] ‘io traevo’ ecc.; futuro indicativo mi traiò [ˈmi traˈjɔ] ‘io trarrò’ ecc.; presente congiuntivo che mi trae [ke ˈmi ˈtraːe] ‘che io tragga’ ecc.; imperfetto che mi traesse [ke ˈmi traˈesˑe] ‘che io traessi’ ecc.; condizionale mi traieiva [ˈmi traˈjejva] ‘io trarrei’ o traiæ [traˈjɛː] ‘io trarrei’ ecc.; participio passato træto [ˈtrɛːtu] ‘tratto’;
(at)trovâ [(a)truˈvaː] ‘trovare’: segue la coniugazione di asmortâ [azmurˈtaː] ‘spegnere’; participio passato (at)trovou [(a)truˈvɔw] ‘trovato’;
vuâ [vyaː] ‘svuotare’: segue la coniugazione di buttâ [byˈtaː] ‘buttare’;
xoâ [ˈʒwaː] ‘volare’: segue la coniugazione di buttâ [byˈtaː] ‘buttare’;
zugâ [zyˈɡaː] ‘giocare’: segue la coniugazione di buttâ [byˈtaː] ‘buttare’;
Irregolari della seconda coniugazione
crei [ˈkrej] ‘credere’: variante arcaica di credde [ˈkredˑe], di uso letterario e ancora praticata in qualche area rurale. Presente indicativo mi creo [mi ˈkrew] ‘io credo’, ti ti crei [ˈti ti ˈkrej], lê o crê [ˈleː u ˈkreː], niatri creemmo [niˈaːtri kreˈemˑu] ‘noi crediamo’, viatri creei [viˈaːtri ˈkreːj], lô cren [ˈluː ˈkreŋ] ‘essi credono’; il resto della coniugazione procede regolarmente aggiungendo la desinenza al tema ⟨cre-⟩; participio passato cræto [ˈkrɛːtu] ‘creduto’.
doei(se) [ˈdwej(se)] ‘dolersi’: indicativo presente mi me deuo [mi me ˈdøːu] ‘io mi dolgo’, ti ti te deui [ˈti ti te ˈdøːi] ‘tu ti duoli’, lê o se deue [ˈleː u se ˈdøːe] ‘egli si duole’, niatri se doimmo [niˈaːtri se ˈdwimˑu] ‘noi ci doliamo’, viatri ve deuei [viˈaːtri ve døˈej] ‘voi vi dolete’, lô se deuan [ˈluː se ˈdøːaŋ] ‘essi si dolgono’; congiuntivo presente che mi me deue [ke ˈmi me ˈdøːe] ‘che io mi dolga’, che ti ti te deui [ke ˈti ti te ˈdøːi] ‘che tu ti dolga’, che lê o se deue [ke ˈleː u se ˈdøːe] ‘che egli si dolga’, che niatri se doimmo [ke niˈaːtri se ˈdwimˑu], che viatri ve doî [ke viˈaːtri ve ˈdwiː], che lô se deuan [ke ˈluː se ˈdøːaŋ] ‘che essi si dolgano’. Per il resto, si coniuga regolarmente con il tema in ⟨o⟩ [u]; manca il participio passato;
dovei [duˈvej] ‘dovere’: presente indicativo mi devo [mi ˈdeːvu] ‘io devo’, ti ti devi [ˈti ti ˈdeːvi] ‘tu devi’, lê o deve [ˈleː u ˈdeːve] ‘egli deve’, niatri dovemmo [niˈaːtri duˈvemˑu] ‘noi dobbiamo’, viatri dovei [viˈaːtri duˈvej] ‘voi dovete’, lô devan [ˈluː ˈdeːvan] ‘essi debbono’; congiuntivo presente che mi deve [ke ˈmi ˈdeːve] ‘che io debba’, che ti ti devi [ke ˈti ti ˈdeːvi] ‘che tu debba’, che lê o deve [ke ˈleː u ˈdeːve] ‘che egli debba’, che niatri dovemmo [ke niˈaːtri duˈvemˑu] ‘che noi dobbiamo’, che viatri dovei [ke viˈaːtri duˈvej] ‘che voi dobbiate’, che lô devan [ke ˈluː ˈdeːvaŋ] ‘che essi debbano’; imperativo devi ti [ˈdeːvi ˈti] ‘devi tu’, ch’o deve lê [k u ˈdeːve ˈleː] ‘debba lui’, dovemmo niatri [duˈvemˑu niˈaːtri] ‘dobbiamo noi’, dovei viatri [duˈvej viˈaːtri] ‘dovete voi’, devan lô [ˈdeːvaŋ ˈluː] ‘debbano essi’. Per il resto la coniugazione prosegue regolarmente col tema in ⟨do-⟩;
pai [ˈpaj] o paei [paˈej] ‘parere’, ‘sembrare’: indicativo presente mi pao [mi ˈpaːu] o paggio [ˈpadʒˑu] ‘io sembro’, ti ti päi [ˈti ti ˈpaːi] o pæ [ˈpɛː] o paggi [ˈpadʒˑi] ‘tu sembri’, lê o pâ [ˈleː u ˈpaː] ‘egli sembra’, niatri paimmo [niˈaːtri paˈimˑu] ‘noi sembriamo’, viatri pai [viˈaːtri ˈpaj] o paei [paˈej] ‘voi sembrate’, lô pan [ˈluː ˈpaŋ] ‘essi sembrano’; futuro mi parriò [ˈmi pariˈɔ] ‘io sembrerò’, ti ti parriæ [ˈti ti pariˈɛː], ecc.; congiuntivo presente che mi pagge [ke ˈmi ˈpadʒˑe] ‘che io sembri’, che ti ti paggi [ke ˈti ti ˈpadʒˑi], ecc.; congiuntivo imperfetto che mi paesse [ke ˈmi paˈesˑe] ‘che io sembrassi’, che ti ti paesci [ke ˈti ti paˈeʃˑi] ‘che tu sembrassi’, che lê o paesse [ke ˈleː u paˈesˑe] ‘che egli sembrasse’, ecc.; condizionale mi parrieiva [ˈmi paˈrjejva] o parriæ [ˈmi paˈrjɛː] ‘io sembrerei’, ti ti parriësci [ˈti ti paˈrjeːʃi] ‘tu sembreresti’, ecc.; imperativo paggi ti [ˈpadʒˑi ˈti] ‘sembri tu’, ch’o pagge lê [k u ˈpadʒˑe ˈleː] ‘sembri lui’, paggemmo niatri [paˈdʒemˑu niˈaːtri] ‘sembriamo noi’, paggiæ viatri [paˈdʒɛː viˈaːtri] ‘sembrate voi’, paggian lô [ˈpadʒˑan ˈluː] ‘sembrino essi’; participio passato pa(r)sciuo [pa(r)ˈʃyːu] ‘sembrato’;
poei [ˈpwej] ‘potere’: indicativo presente mi pòsso [ˈmi ˈpɔsˑu] ‘io posso’, ti ti peu [ˈti ti ˈpøː] ‘tu puoi’, lê o peu [ˈleː u ˈpøː] ‘egli può’, niatri poemmo [niˈaːtri ˈpwemˑu] ‘noi possiamo’, viatri poei [viˈaːtri ˈpwej] ‘voi potete’, lô peuan [ˈluː ˈpøːaŋ] ‘essi possono’; futuro mi porriò [ˈmi puriˈɔ] ‘io potrò’, ti ti porriæ [ˈti ti puriˈɛː] ‘tu potrai’, ecc.; congiuntivo presente che mi pòsse [ke ˈmi ˈpɔsˑe] ‘che io possa’, che ti ti pòsci [ke ˈti ti ˈpɔʃˑi] ‘che tu possa’, che lê o pòsse [ke ˈleː u ˈpɔsˑe] ‘che egli possa’, che niatri poemmo [ke niˈaːtri ˈpwemˑu] o pòscimo [ˈpɔʃimu] ‘che noi possiamo’, che viatri possæ [ke viˈaːtri puˈsɛː] o pòsci [pɔˈʃˑi] ‘che voi possiate’, che lô pòssan [ke ˈluː ˈpɔsˑaŋ] ‘che essi possano’; congiuntivo imperfetto che mi poëse [ke ˈmi ˈpweːse] ‘che io potessi’ ecc.; condizionale mi porrieiva [ˈmi puriˈejva] o porriæ [puriˈɛː] ‘io potrei’, ti ti porriësci [ˈti ti puriˈeːʃi] ‘tu potresti’, lê o porrieiva [ˈleː u puriˈejva] o porriæ [puriˈɛː] ‘egli potrebbe’, niatri porriëscimo [niˈaːtri puriˈeːʃimu] ‘noi potremmo’, viatri porriësci [viˈaːtri puriˈeːʃi] ‘voi potreste’, lô porrieivan [ˈluː puriˈejvaŋ] o porriæn [puriˈɛːŋ] ‘essi potrebbero’; imperativo pòsci ti [ˈpɔʃˑi ˈti] ‘possa tu’, ch’o pòsse le [k u ˈpɔsˑe ˈleː] ‘possa lui’, poemmo [ˈpwemˑu] o pòscimo niatri [ˈpɔʃimu niˈaːtri] ‘possiamo noi’, possæ viatri [puˈsɛː viˈaːtri] ‘possiate voi’, peuan lô [ˈpøːaŋ ˈluː] ‘possano essi’; gerundio poendo [ˈpweŋdu] ‘potendo’, participio passato posciuo [puˈʃyːu] ‘potuto’;
savei [saˈvej] ‘sapere’: indicativo presente mi sò [ˈmi ˈsɔ] ‘io so’, ti ti sæ [ˈti ti ˈsɛː] ‘tu sai’, lê o sa [ˈleː u ˈsa] ‘egli sa’, niatri semmo [niˈaːtri ˈsemˑu] o savemmo [saˈvemˑu] ‘noi sappiamo’, viatri savei [viˈaːtri saˈvej] o sei [ˈsej] ‘voi sapete’, lô san [ˈluː ˈsaŋ] ‘essi sanno’; imperfetto mi saveiva [ˈmi saˈvejva] o saiva [ˈsajva] ‘io sapevo’, ti ti saveivi [ˈti ti saˈvejvi] o saivi [ˈsajvi] ‘tu sapevi’, ecc.; futuro mi saviò [ˈmi saviˈɔ] ‘io saprò’ ecc.; congiuntivo presente che mi sacce [ke ˈmi ˈsatʃˑe] ‘che io sappia’, che ti ti sacci [ke ˈti ti ˈsatʃˑi] ‘che tu sappia’, che lê o sacce [ke ˈleː u ˈsatʃˑe] ‘che egli sappia’, che niatri saccemmo [ke niˈaːtri saˈtʃemˑu] o saccimo [ˈsatʃimu] ‘che noi sappiamo’, che viatri sacciæ [ke viˈaːtri saˈtʃɛː] ‘che voi sappiate, che lô saccian [ke ˈluː ˈsatʃˑaŋ] ‘che essi sappiano’; condizionale mi savieiva [ˈmi saviˈejva] o saviæ [saviˈɛː] ‘io saprei’, ecc.; imperativo sacci ti [ˈsatʃˑi ˈti] ‘sappi tu’, ch’o sacce lê [k u ˈsatʃˑe ˈleː] ‘sappia lui’, saccemmo niatri [saˈtʃemˑu niˈaːtri], sacciæ viatri [saˈtʃɛː viˈaːtri] ‘sappiate voi’, saccian lô [ˈsatʃˑaŋ ˈluː] ‘sappiano essi’; gerundio savendo [saˈveŋdu] ‘sapendo’, participio passato sacciuo [saˈtʃyːu] ‘saputo’.
vai [ˈvaj] o vaei [vaˈej] ‘valere’: segue la stessa coniugazione di pai [ˈpaj] ‘sembrare’ con l’esclusione delle forme secondarie; per il congiuntivo presente e l’imperativo mutua le forme del verbo anâ [aˈnaː] / andâ [aŋˈdaː] ‘andare’: che mi vagghe [ke ˈmi ˈvaɡˑe] ecc.; participio passato varsciuo [varˈʃyːu];
vei [ˈvej] ‘vedere’: variante arcaica di vedde [ˈvedˑe] di uso letterario e conservato in alcune zone rurali; presente indicativo mi veggo [ˈmi ˈveɡˑu] ‘io vedo’, ti ti vei [ˈti ti ˈvej] ‘tu vedi’, lê o vê [ˈleː u ˈveː] ‘egli vede’, niatri viemmo [niˈaːtri ˈvjemˑu] ‘noi vediamo’, viatri viei [viˈaːtri ˈvjej] ‘voi vedete’, lô ven [ˈluː ˈveŋ] ‘essi vedono’; imperfetto mi vieiva [ˈmi viˈejva] ‘io vedevo’, ecc.; futuro mi viò [ˈmi viˈɔ] ‘io vedrò’ ecc.; congiuntivo presente che mi vegghe [ke ˈmi ˈveɡˑe] ‘che io veda’ ecc.; congiuntivo imperfetto che mi visse [ke ˈmi ˈvisˑe] ‘che io vedessi’, che ti ti visci [ke ˈti ti ˈviʃˑi] ‘che tu vedessi’, ecc.; condizionale mi vieiva [ˈmi viˈejva] o viæ [viˈɛː] ‘io vedrei’ ecc.; gerundio viendo [viˈeŋdu] ‘vedendo’, participio passato visto [ˈvistu] ‘visto’;
voei [ˈvwej] ‘volere’: indicativo presente mi veuggio [ˈmi ˈvødʒˑu] ‘io voglio’, ti ti veu [ˈti ti ˈvøː] ‘tu vuoi’, lê o veu [ˈleː u ˈvøː] ‘egli vuole’, niatri voemmo [niˈaːtri ˈvwemˑu] ‘noi vogliamo’, viatri voei [viˈaːtri ˈvwej] ‘voi volete’, lô veuan [ˈluː ˈvøːan] ‘essi vogliono’; futuro mi vorriò [ˈmi vuriˈɔ] ‘io vorrò’ ecc.; imperfetto mi voeiva [ˈmi ˈvwejva] ‘io volevo’, ecc.; congiuntivo presente che mi veugge [ke ˈmi ˈvødʒˑe] ‘che io voglia’, che ti ti veuggi [ke ˈti ti ˈvødʒˑi] ‘che tu voglia’, che lê o veugge [ke ˈleː u ˈvødʒˑe] ‘che egli voglia’, che niatri voggemmo [ke niˈaːtri vuˈdʒemˑu] o voemmo [ˈvwemˑu] ‘che noi vogliamo’, che viatri voggiæ [ke viˈaːtri vuˈdʒɛː] ‘che voi vogliate’, che lô veuggian [ke ˈluː ˈvødʒˑaŋ] o veuan [ˈvøːaŋ] ‘che essi vogliano’; imperfetto che mi voëse [ke ˈmi ˈvweːse] ecc.; imperativo veuggi ti ˆ ‘voglia tu’, ch’o veugge lê [k u ˈvødʒˑe ˈleː] ‘voglia lui’, voemmo niatri [ˈvwemˑu niˈaːtri] ‘vogliamo noi’, veuggiæ viatri [vøˈdʒɛː viˈaːtri] ‘vogliate voi’, veuggian lô [ˈvødʒˑaŋ ˈluː] ‘vogliano essi’; condizionale mi vorrieiva [ˈmi vuriˈejva] o vorriæ [vuriˈɛː] ‘io vorrei’ ecc.; gerundio voendo [ˈvweŋdu] ‘volendo’; participio passato vosciuo [vuˈʃyːu] ‘voluto’;
Irregolari della terza coniugazione
accheugge [aˈkødʒˑe] e arreccheugge [areˈkødʒˑe] ‘cogliere’, ingheugge [iŋˈɡødʒˑe] ‘avvolgere’ e desgheugge [dezˈɡødʒˑe] ‘svolgere’: indicativo presente mi accheuggio [mi aˈkødʒˑu] ‘io colgo’, ti ti accheuggi [ˈti ti aˈkødʒˑi] ‘tu cogli’, lê o l’accheugge [ˈleː u l aˈkødʒˑe] ‘egli coglie’, niatri accuggemmo [niˈaːtri akyˈdʒemˑu] ‘noi cogliamo’, viatri accuggei [viˈaːtri akyˈdʒej], lô accheuggian [ˈluː aˈkødʒˑaŋ] ‘essi colgono’; imperfetto mi accuggeiva [ˈmi akyˈdʒejva] ecc.; futuro mi accuggiò [ˈmi akydʒiˈɔ]; congiuntivo presente che mi accheugge [ke ˈmi aˈkødʒˑe] ‘che io colga’, che ti ti accheuggi [ke ˈti ti aˈkødʒˑi] ‘che tu colga’, che lê o l’accheugge [ke ˈleː u l aˈkødʒˑe] ‘che egli colga’, che niatri accuggemmo [ke niˈaːtri akyˈdʒemˑu] ‘che noi cogliamo’, che viatri acuggei [ke viˈaːtri akyˈdʒej] ‘che voi cogliate’, che lô accheuggian [ke ˈluː aˈkødʒˑaŋ] ‘che essi colgano’; imperfetto che mi accuggesse [ke ˈmi akyˈdʒesˑe] ecc.; condizionale mi accuggieiva [ˈmi akydʒiˈejva] ‘io coglierei’ o accuggiæ [akydʒiˈɛː] ecc,; imperativo: accheuggi ti [aˈkødʒˑi ˈti] ‘cogli tu’, ch’o l’accheugge lê [k u l aˈkødʒˑe ˈleː] ‘colga lui’, accuggemmo niatri [akyˈdʒemˑu niˈaːtri] ‘cogliamo noi’, accuggei viatri [akyˈdʒej viˈaːtri] ‘cogliete voi’, accheuggian lô [aˈkødʒˑan ˈluː] ‘colgano loro’; participio passato accuggeito [akyˈdʒejtu] o accuggito [akyˈdʒiːtu] ‘colto’;
beive ‘bere’: presente indicativo mi beivo [mi ˈbejvu] ‘io bevo’ ti ti beivi [ˈti ti ˈbejvi] ‘tu bevi’, lê o beive [ˈleː u ˈbejve] ‘egli beve’, niatri bevemmo [niˈaːtri beˈvemˑu] ‘noi beviamo’ viatri bevei [viˈaːtri beˈvej] ‘voi bevete’ lô beivan [ˈluː ˈbejvan] ‘essi bevono’; imperfetto mi beveiva [ˈmi beˈvejva] ‘io bevevo’ ecc.; futuro mi beiviò [ˈmi bejviˈɔ] ‘io berrò’ ecc. (raro mi beviò [ˈmi beviˈɔ] ecc.); congiuntivo presente che mi beive [ke ˈmi ˈbejve] ‘che io beva’, che ti ti beivi [ke ˈti ti ˈbejvi] ‘che tu beva’, che lê o beive [ke ˈleː u ˈbejve] ‘che egli beva’, che niatri bevemmo [ke niˈaːtri beˈvemˑu] ‘che noi beviamo’, che viatri bevei [ke viˈaːtri beˈvej] ‘che voi beviate’, che lô beivan [ke ˈluː ˈbejvaŋ] ‘che essi bevano’; imperfetto che mi bevesse [ke ˈmi beˈvesˑe] ‘che io bevessi’ ecc.; condizionale mi bevieiva [mi beviˈejva] o beviæ [beviˈɛː] ‘io berrei’ ecc. (raro mi beivieiva [ˈmi bejviˈejva] ‘io berrei’ ecc.); imperativo beivi ti [ˈbejvi ˈti] ‘bevi tu’, ch’o beive lê [k u ˈbejve ˈleː] ‘beva lui’, bevemmo niatri [beˈvemˑu niˈaːtri] ‘beviamo noi’, bevei viatri [beˈvej viˈaːtri] ‘bevete voi’, beivan lô [ˈbejvan ˈluː] ‘bevano essi’; gerundio bevendo [beˈveŋdu]; participio passato bevuo [beˈvyːu] ‘bevuto’;
ceuve [ˈtʃøːve] ‘piovere’: è verbo diffettivo salvo quando ricorra in espessioni figurate. Si coniuga con le stesse alternanze ⟨eu⟩ / ⟨u⟩ di accheugge [aˈkødʒˑe] ‘cogliere’; participio passato ciuvuo [tʃyˈvyːu] ‘piovuto’;
cheuxe [ˈkøːʒe] ‘cuocere’: è regolare con il tema in ⟨-eu⟩ (presente indicativo mi cheuxo [ˈmi ˈkøːzu] ‘io cuocio’, ti ti cheuxi [ˈti ti ˈkøːzi] ‘tu cuoci’, lê o cheuxe [ˈleː u ˈkøːʒe] ‘egli cuoce’, niatri cheuxemmo [niˈaːtri køːˈʒemˑu] ‘noi cuociamo’, viatri cheuxei [viˈaːtri køːˈʒej] ‘voi cuocete’, lô cheuxan [ˈluː ˈkøːʒaŋ] ‘essi cuociono’); participio passato cheutto [ˈkøtˑu] ‘cotto’;
condue [kuŋˈdyːe] ‘condurre’, addue [aˈdyːe] ‘addurre’, destrue [desˈtryːe] ‘distruggere’, tradue [traˈdyːe] ‘tradurre’, ecc.; regolari in tutte le forme (presente indicativo mi conduo [ˈmi kuŋˈdyːu] ‘io traduco’, congiuntivo che mi tradue [ke ˈmi traˈdyːe] ‘che io traduca’, ecc.) presentano in alternativa, tranne per l’infinito, forme con un ampliamento di tema in ⟨-x-⟩: mi conduxo [ˈmi kuŋˈdyːʒu] ‘io traduco’, che mi conduxe [ke ˈmi kuŋˈdyːʒe] ‘che io traduca’, ecc.; participio passato conduto [kuŋˈdyːtu] ‘condotto’;
meuve [ˈmøːve] ‘muovere’ (in senso figurato) e commeuve [kuˈmøːve], promeuve [pruˈmøːve] ecc.: si coniugano come accheugge [aˈkødʒˑe] ‘cogliere’, ma l’alternanza riguarda ⟨eu⟩ [ø] e ⟨o⟩ [u]: mi meuvo [ˈmi ˈmøːvu] ‘io muovo’, niatri movemmo [niˈaːtri muˈvemˑu] ‘noi muoviamo’ ecc.; participio passato mòsso [ˈmɔsˑu] ‘mosso’.
poñe [ˈpuŋˑe] ‘porre’, compoñe [kuŋˈpuŋˑe] ‘comporre’, impoñe [iŋˈpuŋˑe], ecc.: presentano un’alternanza tra [n] e [ŋ] paragonabile ai verbi in ⟨-nâ⟩ della prima coniugazione (cfr. 42.c): mi poño [ˈmi ˈpuŋˑu] ‘io pongo’, niatri ponemmo [niˈaːtri puˈnemˑu]; participio passato pòsto [ˈpɔstu] ‘posto’.
reçeive [reˈsejve] ‘ricevere’: si coniuga come beive [ˈbejve] ‘bere’.
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Hanno forme irregolari del participio passato i seguenti verbi (si omettono i derivati salvo i principali):
accòrze [aˈkɔːrze] ‘accorgere’, accòrto [aˈkɔːrtu] ‘accorto’;
açende [aˈseŋde] ‘accendere’, açeiso [aˈsejzu] ‘acceso’;
affonde [aˈfuŋde] ‘fondere’, confonde [kuŋˈfuŋde] ecc., affuso [aˈfyːzu] ‘fuso’;
alludde [aˈlydˑe] ‘alludere’, inludde [iŋˈlydˑe] ‘illudere’, ecc.: alluso [aˈlyːzu] ‘alluso’;
annette [aˈnetˑe] ‘annettere’, annesso [aˈnesˑu] ‘annesso’;
appende [aˈpeŋde] ‘appendere’, appeiso [aˈpejzu] ‘appeso’;
apprende [aˈpreŋde] ‘rapprendere’ e desprende [desˈpreŋde] ‘disimparare’,;
imprende [iŋˈpreŋde] ‘imparare’: appreiso [aˈprejzu] ‘rappreso’;
assumme [aˈsymˑe] ‘assumere’, assonto [aˈsuŋtu] ‘assunto’;
attende [aˈteŋde] ‘tendere’, atteiso [aˈtejzu];
cazze [ˈkazˑe] ‘cadere’ e descazze [desˈkazˑe] ‘scadere’, recazze [reˈkazˑe] ‘ricadere’: cheito [ˈkejtu] ‘caduto’;
cianze [ˈtʃaŋze] ‘piangere’, cento [ˈtʃeŋtu] e cianzùo [tʃaŋzyːu] ‘pianto’;
ciöde [ˈtʃɔːde] ‘chiudere’, descciöde [deʃˈtʃɔːde] ‘dischiudere’: ciöso [ˈtʃɔːsu] ‘chiuso’;
correze [kuˈreːze] ‘correggere’ e proteze [pruˈteːze] ‘proteggere’: correzuo [kureˈzyːu] e corretto [kuˈrɛtˑu] ‘corretto’;
credde [ˈkredˑe] ‘credere’, credduo [kreˈdyːu] e cræto [ˈkrɛːtu] ‘creduto’;
deçidde [deˈsidˑe] ‘decidere’, deçiso [deˈsiːzu] ‘deciso’;
defende [deˈfeŋde] ‘difendere’, defeiso [deˈfejzu];
depenze [deˈpeŋze] ‘dipingere’, depento [deˈpeŋtu] ‘dipinto’;
deprimme [deˈprimˑe] ‘deprimere’, depresso [deˈprɛsˑu] ‘depresso’;
destingue [desˈtiŋgwe] ‘distinguere’, destinto [desˈtiŋtu] ‘distinto’;
descutte [desˈkytˑe] ‘discutere’, descusso [desˈkysˑu] ‘discusso’;
dividde [diˈvidˑe] ‘dividere’, diviso [diˈviːzu];
esprimme [esˈprimˑe] ‘esprimere’, deprimme [deˈprimˑe] ‘deprimere’ ecc.: espresso [esˈprɛsˑu] ‘espresso’;
finze [ˈfiŋze] ‘fingere’, finto [ˈfiŋtu] ‘finto’;
franze [ˈfraŋze] ‘frangere’, franto [ˈfraŋtu] ‘franto’;
frizze [ˈfrizˑe] ‘friggere’, frito [ˈfriːtu] ‘fritto’;
intende [iŋˈteŋde] ‘intendere’, inteiso [iŋˈtejzu] ‘inteso’;
leze [ˈleːze] ‘leggere’, letto [ˈlɛtˑu] e lezzuo [leˈzyːu] ‘letto’;
mette [ˈmetˑe] ‘mettere’ e ammette [aˈmetˑe] ‘ammettere’, desmette [dezˈmetˑe] ‘dimettere’, permette [perˈmetˑe] ‘permettere’, promette [pruˈmetˑe] ‘promettere’, transmette [traŋzˈmetˑe] ‘trasmettere’, ecc.: misso [ˈmisˑu] ‘messo’;
nasce [ˈnaʃˑe] ‘nascere’ e renasce [reˈnaʃˑe] ‘rinascere’: nasciuo [naˈʃyːu] e nato [ˈnaːtu] ‘nato’;
offende [uˈfeŋde] ‘offendere’, offeiso [uˈfejzu] ‘offeso’;
perde [ˈpɛːrde] ‘perdere’ e sperde [ˈspɛːrde] ‘disperdere’: perso [ˈpɛːrsu] e perduo [perˈdyːu] ‘perso’;
persuade [persyˈaːde] ‘persuadere’, persuaso [persyˈaːzu] ‘persuaso’ (con dissuade [disyˈaːde] ‘dissuadere’);
ponze [ˈpuŋze] ‘pungere’, ponto [ˈpuŋtu] ‘punto’;
pretende [preˈteŋde] ‘pretendere’, preteiso [preˈtejzu] ‘preteso’;
rende [ˈreŋde] ‘rendere’, reiso [ˈrejzu] ‘reso’;
resciòrve [reˈʃɔːrve] ‘risolvere’, resciòrto [reˈʃɔːrtu] ‘risolto’;
responde [resˈpuŋde] ‘rispondere’, respòsto [resˈpɔstu] ‘risposto’;
rie [ˈriːe] ‘ridere’, riso [ˈriːzu] e riuo [riˈyːu] ‘riso’;
scelie [ˈʃɛlˑje] ‘scegliere’, scelto [ˈʃɛltu] ‘scelto’;
scrive [ˈskriːve] ‘scrivere’, descrive [desˈkriːve] ‘descrivere’ ecc.: scrito [ˈskriːtu] ‘scritto’;
spande [ˈspaŋde], spanze [ˈspaŋze] ‘spargere’, spanto [ˈspaŋtu] ‘sparso’;
spende [ˈspeŋde] ‘spendere’, speiso [ˈspejzu] ‘speso’;
(a)strenze [(a)sˈtreŋze] ‘stringere’ e costrenze [kusˈtreŋze] ‘costringere’, (a)streito [(a)sˈtrejtu] ‘stretto’;
succede [syˈtʃeːde] ‘accadere’, successo [syˈtʃɛsˑu] ‘accaduto’;
tende [ˈteŋde] ‘tendere’ e destende [desˈteŋde] ‘stendere’, strattende [straˈteŋde] ‘tendere’: teiso [ˈtejzu] ‘steso’;
tenze [ˈteŋze] ‘dipingere’, tento [ˈteŋtu] ‘dipinto’;
vedde [ˈvedˑe] ‘vedere’ e antevedde [aŋteˈvedˑe] ‘prevedere’, provedde [pruˈvedˑe] ‘provvedere’, revedde [reˈvedˑe] ‘vomitare’: visto [ˈvistu] ‘visto’;
vinse [ˈviŋse] ‘vincere’, vinto [ˈviŋtu] ‘vinto’;
vive [ˈviːve] ‘vivere’, visciuo [viˈʃyːu] ‘vissuto’;
vonze [ˈvuŋze] ‘ungere’, vonto [ˈvuŋtu] ‘unto’;
vöze [ˈvɔːze] ‘volgere’, vòtto [ˈvɔtˑu] ‘volto’;
zonze [ˈzuŋze] ‘congiungere’ zonto [ˈzuŋtu] ‘congiunto’.
Irregolari della quarta coniugazione
Tra i verbi della quarta coniugazione, alcuni (alleggeî [aledʒeˈiː] ‘alleggerire’, digeî [didʒeˈiː] ‘digerire’, feî [feˈiː] ‘ferire’, guaî [gwaˈiː] ‘guarire’, inseî [iŋseˈiː] ‘innestare’, offeî [ofeiː] ‘offrire’, prefeî [prefeˈiː] ‘preferire’, spaî [spaˈiː] ‘sparire’, traî [traˈiː] ‘tradire’) possiedono, in alternativa alla forma regolare dell’infinito, una variante con accento ritratto, in obbedienza a una tendenza fonetica tipica del genovese: alleggei [aleˈdʒej], digei [diˈdʒej], fei [ˈfej], offei [ɔˈfej], prefei [preˈfej], spai [ˈspaj], trai [ˈtraj]: nell’uso corrente, salvo soluzioni idiolettali, ciò non modifica il resto della coniugazione (che tra l’altro presenta in tutti i casi l’ampliamento in ⟨-isci-⟩), se non nei participi passati, che in alternativa alle forme regolari (alleggeio [aledʒeˈiːu] ‘alleggerito’, digeio [didʒeˈiːu] ‘digerito’ ecc.), presentano il tipo allegeio [aleˈdʒejˑu] ‘alleggerito’, digeio [diˈdʒejˑu] ‘digerito’, feio [ˈfejˑu] ‘ferito’, guaio [ˈɡwajˑu] ‘guarito’, inseio [iŋˈsejˑu] ‘innestato’, offeio [ɔˈfejˑu], prefeio [preˈfejˑu] ‘preferito’, spaio [ˈspajˑu] ‘sparito’, traio [ˈtrajˑu] ‘tradito’; inseî ha anche il participio passato irregolare inserto [iŋˈsɛːrtu] ‘innestato’, offeî [ɔˈfej] ha anche offerto [ɔˈfɛːrtu] ‘offerto’;
I verbi ascistî [aʃiˈstiː] ‘assistere’, conscistî [kuŋʃiˈstiː] ‘consistere’, existî [eʒiˈstiː] ‘esistere’, rexistî [reʒiˈstiː] ‘resistere’ si coniugano regolarmente, ma hanno una forma alternativa dell’infinito che riflette la terza coniugazione: asciste [aˈʃiste], consciste [kuŋˈʃiste], existe [eˈʒiste], rexiste [reˈʒiste];
arvî [arˈviː] ‘aprire’: participio passato averto [aˈvɛːrtu] ‘aperto’;
crovî [kruˈviː] ‘coprire’: indicativo presente mi creuvo [ˈmi ˈkrøːvu] ‘io copro’, ti ti creuvi [ˈti ti ˈkrøːvi] ‘tu copri’, lê o creuve [ˈleː u ˈkrøːve] ‘egli copre’, niatri crovimmo [niˈaːtri kruˈvimˑu] ‘noi copriamo’, viatri crovî [viˈaːtri kruˈviː] ‘voi coprite’, lô creuvan [ˈluː ˈkrøːvan] ‘essi coprono’; imperfetto mi croviva [ˈmi kruˈviːva] ‘io coprivo’, ecc.; futuro mi croviò [mi kruviˈɔ] ‘io coprirò’; congiuntivo presente che mi creuve [ke ˈmi ˈkrøːve] ‘che io copra’, che ti ti creuvi [ke ˈti ti ˈkrøːvi] ‘che tu copra’, che lê o creuve [ke ˈleː u ˈkrøːve] ‘che egli copra’, che niatri crovimmo [ke niˈaːtri kruˈvimˑu] ‘che noi copriamo’, che viatri crovî [ke viˈaːtri kruˈviː] ‘che voi copriate’, che lô creuvan [ke ˈluː ˈkrøːvan] ‘che essi coprano’; imperfetto che mi crovisse [ke ˈmi kruˈvisˑe] ecc.; condizionale mi crovieiva [ˈmi kruviˈejva] ‘io coprirei’ ec.; imperativo creuvi ti [ˈkrøːvi ˈti] ‘copri tu’, ch’o creuve lê [k u ˈkrøːve ˈleː] ‘copra lui’, crovimmo niatri [kruˈvimˑu niˈaːtri] ‘copriamo noi’, crovî viatri [kruˈviː viˈaːtri] ‘coprite voi’, creuvan lô [ˈkrøːvaŋ ˈluː] ‘coprano essi’;
dî [ˈdiː] ‘dire’: presente indicativo mi diggo [ˈmi ˈdiɡˑu] ‘io dico’, ti ti dixi [ˈti ti ˈdiːʒi] ‘tu dici’, lê o dixe [ˈleː u ˈdiːʒe] ‘egli dice’, niatri dimmo [niˈaːtri ˈdimˑu] ‘noi diciamo’, viatri dî [viˈaːtri ˈdiː] ‘voi dite’, lô dixan [ˈluː ˈdiːʒaŋ] ‘essi dicono’; imperfetto mi diva [ˈmi ˈdiːva] ‘io dicevo’, ti ti divi [ˈti ti ˈdiːvi] tu dicevi’, lê o diva [ˈleː u ˈdiːva] ‘egli diceva’, niatri divimo [niˈaːtri ˈdiːvimu] ‘noi dicevamo’, viatri divi [viˈaːtri ˈdiːvi] ‘voi dicevate’, lô divan [ˈluː ˈdiːvan] ‘essi divevano’ (oppure, meno frequente: mi dixeiva [ˈmi diˈʒejva] ‘io dicevo’, ecc.); futuro mi diò [ˈmi diˈɔ] ‘io dirò’ ecc.; congiuntivo presente che mi digghe [ke ˈmi ˈdiɡˑe] ‘che io dica’, che ti ti digghi [ke ˈti ti ˈdiɡˑi] ‘che tu dica’, che lê o digghe [ke ˈleː u ˈdiɡˑe] ‘che egli dica’, che niatri dimmo [ke niˈaːtri ˈdimˑu] ‘che noi diciamo’, che viatri dî [ke viˈaːtri ˈdiː] ‘che voi diciate’, che lô diggan [ke ˈluː ˈdiɡˑaŋ] ‘che essi dicano’; imperfetto che mi dixesse [ke ˈmi diˈʒesˑe] ‘che io dicessi’ ecc. (meno frequente che mi disse [ke ˈmi ˈdisˑe] ‘che io dicessi’ ecc.); condizionale mi dieiva [ˈmi diˈejva] o diæ [diˈɛː] ‘io direi’ ecc.; imperativo dinni ti [ˈdinˑi ˈti] ‘dì tu’, ch’o digghe lê [k u ˈdiɡˑe ˈleː] ‘dica egli’, dimmo niatri [ˈdimˑu niˈaːtri] ‘diciamo noi’, dî viatri [ˈdiː viˈaːtri] ‘dite voi’, diggan lô [ˈdiɡˑaŋ ˈluː] ‘dicano essi’; gerundio dixendo [diˈʒeŋdu] o dindo [ˈdiŋdu] ‘dicendo’, participio passato dito [ˈdiːtu] ‘detto’;
gödî [ɡɔːˈdi] ‘godere’: participio passato gödio [ɡɔːˈdiːu] e gözo [ˈɡɔːzu] ‘goduto’;
moî [muˈiː] ‘morire’: presente indicativo mi meuo [ˈmi ˈmøːu] ‘io muoio’, ti ti meui [ˈti ti ˈmøːi] ‘tu muori’, lê o meue [ˈleː u ˈmøːe] o o meu [u ˈmøː] ‘egli muore’, niatri moimmo [niˈaːtri muˈimˑu] ‘noi moriamo’, viatri moî [viˈaːtri muˈiː] ‘voi morite’, lô meuan [ˈluː ˈmøːaŋ] ‘essi muoiono’; imperfetto mi moiva [ˈmi muˈiːva] ‘io morivo’ ecc.; futuro mi moiò [ˈmi muˈjɔ] ‘io morrò’; congiuntivo presente che mi meue [ke ˈmi ˈmøːe] ‘che io muoia’, che ti ti meui [ke ˈti ti ˈmøːi] ‘che tu muoia’, che lê o meue [ke ˈleː u ˈmøːe] ‘che egli muoia’, che niatri moimmo [ke niˈaːtri muˈimˑu] ‘che noi moriamo’, che viatri moî [ke viˈaːtri muˈiː] ‘che voi moriate’, che lô meuan [ke ˈluː ˈmøːaŋ] ‘che essi muoiano’; imperfetto che mi moisse [ke ˈmi muˈisˑe] ‘che io morissi’ ecc.; condizionale mi moieiva [ˈmi muiˈejva] o moiæ [muiˈɛː] ‘io morrei’, ecc.; imperativo meui ti [ˈmøːi ˈti], ch’o meue lê [k u ˈmøːe ˈleː] ‘muoia lui’, moimmo niatri [muˈimˑu niˈaːtri] ‘moriamo noi’, moî viatri [muˈiː viˈaːtri], meuan lô [ˈmøːaŋ ˈluː] ‘muoiano essi’; gerundio moindo [muˈiŋdu] ‘morendo’; participio passato mòrto [ˈmɔːrtu] ‘morto’;
rompî [ruŋˈpiː] ‘rompere’: participio passato rotto [ˈrutˑu] ‘rotto’;
sciorbî [ʃurˈbiː] ‘assorbire’: indicativo presente mi sciòrbo [ˈmi ˈʃɔːrbu] ‘io assorbo’, ti ti sciòrbi [ˈti ti ˈʃɔːrbi] ‘tu assorbi’, lê o sciòrbe [ˈleː u ˈʃɔːrbe] ‘egli assorbe’, niatri sciorbimmo [niˈaːtri ʃurˈbimˑu] ‘noi assorbiamo’, viatri sciorbî [viˈaːtri ʃurˈbiː] ‘voi assorbite’, lô sciòrban [ˈluː ˈʃɔːrbaŋ] ‘essi assorbono; congiuntivo presente che mi sciòrbe [ke ˈmi ˈʃɔˑrbe] ‘che io assorba’, che ti ti sciòrbi [ke ˈti ti ˈʃɔˑrbi] ‘che tu assorba’, che lê o sciòrbe [ke ˈleː u ˈʃɔˑrbe] ‘che egli assorba’, che niatri sciorbimmo [ke niˈaːtri ʃurˈbimˑu] ‘che noi assorbiamo’, che viatri sciorbî [ke viˈaːtri ʃurˈbiː] ‘che voi assorbiate’, che lô sciòrban [ke ˈluː ˈʃɔˑrbaŋ] ‘che essi assorbano’; imperativo sciòrbi ti [ˈʃɔˑrbi ˈti] ‘assorbi tu’, ch’o sciòrbe lê [k u ˈʃɔˑrbe ˈleː] ‘assorba lui’, sciorbimmo niatri [ʃurˈbimˑu niˈaːtri] ‘assorbiamo noi’, sciorbî viatri [ʃurˈbiː viˈaːtri] ‘assorbite voi’, sciòrban lô [ˈʃɔˑrbaŋ ˈluː] ‘assorbano loro’; participio passato sciorbio [ʃurˈbiːu] ‘assorbito’. Il resto della coniugazione continua regolarmente con il tema in ⟨o⟩ [u];
sciortî [ʃurˈtiː] ‘uscire’: si coniuga sul modello di sciorbî [ʃurˈbiː] ‘assorbire’;
tegnî [teˈɲiː] ‘tenere’: si coniuga regolarmente; la terza persona del presente indicativo ha però due forme o ten [u ˈteŋ] ‘egli tiene’, più frequente, e o tëgne [u ˈteːɲe];
vegnî [veˈɲiː] ‘venire’: come tegnî [teˈɲiː], terza persona del presente indicativo o ven [u ˈveŋ] ‘viene’ e o vëgne [u ˈveːɲe].
Accordo del verbo
Verranno esaminati adesso l’accordo di numero tra soggetto e predicato verbale e l’accordo di numero e genere del participio accompagnato da un verbo di modo finito con il termine o con i termini ai quali il participio si riferisce.
Il verbo di modo finito richiede di norma la stessa persona del soggetto: a dònna a canta [a ˈdɔnˑa a ˈkaŋta] ‘la donna canta’. Quando vi siano più soggetti, la presenza di un pronome di prima persona richiede l’accordo verbale di quarta persona, la presenza di un pronome di seconda persona implica l’accordo verbale di quinta persona, e così via: o Gioan e mi partimmo doman [u ˈdʒwaŋ e ˈmi parˈtimˑu duˈmaŋ] ‘Giovanni e io partiremo domani’; ti e i tò amixi ghe mancavi pròpio [ˈti e i tɔ ˈamiːʒi ɡe maŋˈkaːvi ˈprɔpˑju] ‘tu e i tuoi amici mancavate proprio’.
Quando un verbo intransitivo che indica un’azione collettiva precede il soggetto, esso si pone preferibilmente al singolare anche se il soggetto è plurale: canta i òmmi [ˈkaŋta j ˈɔmˑi] ‘gli uomini cantano’ (ma i òmmi cantan [i ˈɔmˑi ˈkaŋtaŋ]); creuva e feugge [ˈkrøːva e ˈfødʒˑe] ‘cadono le foglie’(ma e feugge creuvan [e ˈfødʒˑe ˈkrøːvaŋ]); nasce i fonzi [ˈnaʃˑe i ˈfuŋzi] ‘spuntano i funghi’; cazze e castagne [ˈkazˑe e kasˈtaɲˑe] ‘cadono le castagne’, s’accurtisce e giornæ [s akyrˈtiʃˑe e dʒurˈnɛː] ‘si accorciano le giornate’, ecc. In questo caso, con le locuzioni verbali formate da un aggettivo, quest’ultimo può porsi indifferentemente al singolare, concordando con il verbo, o al plurale, concordando con il soggetto: l’é ciù bon i fonzi sott’euio [l e tʃy ˈbuŋ i ˈfuŋzi sut ˈøːju], oppure l’é ciù boin i fonzi sott’euio [l e tʃy ˈbwiŋ i ˈfuŋzi sut ˈøːju] ‘sono migliori i funghi sott’olio’. Il verbo è di preferenza al singolare anche con il partitivo: de ciccolatin no ghe n’é [de tʃikulaˈtiŋ nu ɡe ˈn e] ‘non ci sono cioccolatini’.
Particolarità I. Più soggetti singolari senza congiunzione o collegati da una congiunzione copulativa (e [e] ‘e’, ni [ni] ‘né’) possono presentare il verbo alla terza o alla sesta persona indifferentemente se esso li precede, solo alla sesta persona se li segue: l’an reduto coscì e dònne, o vin e o tabacco [l aŋ reˈdyːtu kuˈʃi e ˈdɔnˑe u ˈviŋ e u taˈbakˑu], oppure l’à reduto coscì … [l a reˈdyːtu kuˈʃi] ‘le donne, il vino e il tabacco lo hanno ridotto così’; ma Zena e a Spezza son e ciù gren çittæ da Liguria [ˈzeːna e a ˈspezˑa ˈsuŋ e tʃy ˈɡreŋ siˈtɛː da Liˈɡyːrja] ‘Genova e La Spezia sono le più grandi città della Liguria’; no l’é vegnuo o Marco e ni o Gioan [nu l e veˈɲyːu u ˈmaːrku e ni u ˈdʒwaŋ] ‘non sono venuti né Marco né Giovanni’, ma ni o Marco e ni o Gioan son vegnui [ni u ˈmaːrku e ni u ˈdʒwaŋ suŋ veˈɲyːi].
II. Si ha accordo al singolare in presenza di due o più soggetti coordinati da una congiunzione disgiuntiva (ò [ɔ] ‘o’): l’é poscibile che lì depoî ghe segge de longo un òmmo ò unna dònna? [ˈl e puˈʃibile ke ˈli deˈpwiː ɡe ˈsedʒˑe de ˈluŋɡu in ˈɔmˑu ɔ inˑa ˈdɔnˑa] ‘possibile che là di fronte ci siano sempre un uomo o una donna?’.
III. Il verbo si mette al plurale quando il soggetto seguito da un complemento di compagnia lo precede: O Gioan con sò moggê son chì [u ˈdʒwaŋ kuŋ sɔ muˈdʒeː ˈsuŋ ˈki] ‘Giovanni e sua moglie sono qui’; ma si mette al singolare quando lo segue: chì gh’é o Gioan con sò moggê [ˈki ˈɡ e u ˈdʒwaŋ kuŋ sɔ muˈdʒeː] ‘qui c’è Giovanni con sua moglie’.
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Con i verbi passivi e riflessivi diretti il participio passato si accorda con il soggetto, come si è già detto, nel genere e nel numero. La concordanza avviene senza incertezze in altri due casi:
con un verbo intransitivo, quando il participio ha come ausiliare ëse [ˈeːse] ‘essere’, si accorda col soggetto: a Maria a l’é ammiâ da tutti [a maˈriːa a l ˈe amiˈaː da ˈtytˑi] ‘Maria è guardata da tutti’. Il participio passato può presentarsi invariabile al maschile singolare quando precede il soggetto (l’é mòrto sò moggê [l ˈe ˈmɔːrtu sɔ muˈdʒeː] ‘è morta sua moglie’), e ciò è obbligatorio quando il soggetto è plurale e il verbo che lo precede è singolare (cfr. 123): l’é vegnùo e seu de mæ maio [l ˈe veˈɲyːu e ˈsøː de ˈmɛː ˈmajˑu] ‘sono venute le sorelle di mio marito’ (ma se il verbo segue il soggetto: e seu de mæ maio son vegnue [e ˈsøː de ˈmɛː ˈmajˑu suŋ veˈɲyːe] ‘le sorelle di mio marito sono venute’); se l’ausiliare è avei [aˈvej] ‘avere’ il participio è invariabile e assume sempre la forma del maschile singolare: a Maria a l’à dormio [a maˈriːa a l ˈa durˈmiːu] ‘Maria ha dormito’. Il participio è invariabile anche con un verbo transitivo senza oggetto espresso: a Maria a l’à studdiou [a maˈriːa a l a styˈdjɔw] ‘Maria ha studiato’;
con un verbo impersonale o con un costrutto fondato sul se [se] ‘se’ passivante, il participio è invariabile nella forma del maschile singolare: l’é ciuvuo doe oe [ˈl e tʃyˈvyːu ˈduːe ˈuːe] ‘è piovuto per due ore’; s’é visto torna in gio quella sguandriña [s e ˈvistu ˈtuːrna ŋ ˈdʒiːu ˈkwelˑa zɡwaŋˈdriŋˑa] ‘si è vista di nuovo in giro quella sgualdrina’. Il participio è però femminile in espressioni come a l’é fæta [a l e ˈfɛːta] ‘è fatta’, a l’é anæta ben [a l e aˈnɛːta ˈbeŋ] ‘è andata bene’, che sottintendono un pronome neutro.
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Per quanto riguarda l’accordo con l’ausiliare avei [aˈvej] ‘avere’ in presenza di un complemento oggetto:
il participio è normalmente invariabile nella forma maschile singolare: quelle figge de quæ emmo parlou [ˈkwelˑe ˈfidʒˑe de ˈkwɛː ˈemˑu parˈlɔw] ‘quelle ragazze di cui abbiamo parlato’; emmo çernuo e peie ciù belle [ˈemˑu serˈnyːu e ˈpejˑe tʃy ˈbɛlˑe] ‘abbiamo scelto le pere più belle’; o l’à conosciùo e mæ amighe [u l a kunuˈʃyːu e ˈmɛː aˈmiːɡe]; e demoe ch’o l’à portou sò poæ [e deˈmuːe k u l a purˈtɔw sɔ ˈpwɛː] ‘i giocattoli che ha portato suo padre’;
si ha invece l’obbligo di accordo quando il participio si riferisce a un pronome precedente: o l’é lê ch’o me l’à dæta [u l e ˈleː k u me l a ˈdɛːta] ‘è stato lui a darmela’; sti ravieu î ò mangiæ voentea [sti raˈvjøː i ɔ maŋˈdʒɛː vweŋˈteːa] ‘questi ravioli li ho mangiati volentieri’.
L’accordo del participio passato di ëse [ˈeːse] ‘essere’ o di un verbo copulativo col soggetto e mai col nome del predicato o complemento predicativo è obbligatorio: a sò vixita a l’é stæta unna sorpreisa [a sɔ ˈviːʒita a l e ˈstɛːta na surˈprejza] ‘la sua visita è stata una sorpresa’; quella figgia a l’é vegnua rossa comme o feugo [ˈkwelˑa ˈfidʒˑa a l ˈe veˈɲyːa ˈrusˑa ˈkumˑe u ˈføːɡu]
Accordo del verbo con le formule di cortesia
Caratteristica delle formule di cortesia è la mancata concordanza di persona o di numero rispetto alla reale situazione degli interlocutori: con voî [ˈvwiː] ‘voi’ il distacco prodotto dalla mancata corrispondenza fra il numero plurale della forma verbale e la singola persona reale alla quale ci si rivolge; con voscià [vuˈʃa] ‘vossignoria’ e nel più recente lê [ˈleː] ‘lei’, invece, c’è discordanza tra la seconda persona singolare alla quale ci si rivolge e la terza persona singolare del verbo retta dal pronome: voscià scià l’é contento? [vuˈʃa ʃa l ˈe kuŋˈteŋtu] ‘lei è contento?’.
Uso dei tempi e dei modi. Indicativo
L’indicativo è il modo della realtà e dell’obiettività, ed è il modo fondamentale delle frasi semplici.
Presente
È innanzitutto il tempo che colloca un’azione in prospettiva di simultaneità, sottolineando la contemporaneità fra lo svolgersi del fatto e il momento in cui esso viene narrato: son contento [ˈsuŋ kuŋˈteŋtu] ‘sono contento’, ancheu ceuve [aŋˈkøː ˈtʃøːve] ‘oggi piove’, cöse ti fæ lì in pê? [ˈkɔːse ti ˈfɛː ˈli ŋ ˈpeː] ‘che fai lì in piedi?’. In diverse occasioni, però, il presente può essere impiegato per esprimere un’azione passata o futura.
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Presente iterativo: esprime un’azione che viene presentata come abituale, e che può essere riferita idealmente anche al passato o al futuro: o leze un muggio de libbri [u ˈleːze ŋ ˈmydʒˑu de ˈlibˑri] ‘legge una gran quantità di libri’; graçie, no beivo mai [ˈɡrasˑje nu ˈbejvu ˈmaːi] ‘grazie, non bevo mai’.
Presente acronico: colloca l’azione in un tempo indefinito e le attribuisce validità perenne. È caratteristico dei proverbi e delle frasi idiomatiche, e delle situazioni in cui l’oggetto, anche collocabile al passato, è al di fuori di coordinate temporali: Avanti de partî, o Cavalli o scrive a-a sò galante a ‘Partensa pe maiña’ [aˈvaŋti de parˈtiː u kaˈvalˑi u ˈskriːve aː ˈsɔ ɡaˈlaŋte a parˈteŋsa pe maˈiŋˑa] ‘prima di partire, Cavalli dedica alla sua amante la Partenza per mare’.
Presente al posto del futuro: un’azione futura è collocata al presente soprattutto quando presuppone la certezza dell’avvenimento di cui si parla: doman parto [duˈmaŋ ˈpaːrtu] ‘partirò domani’, intanto settite, che vëgno [iŋˈtaŋtu ˈsetite ke ˈveːɲu] ‘siediti intanto, io verrò subito’.
Presente storico: Consiste nell’uso del presente per fatti che si collocano nel passato, e costituisce la norma nelle narrazioni di carattere rievocativo (si ricordi che in genovese moderno non esiste il passato remoto): O Döia o meue ch’o l’à squæxi çent’anni [u ˈdɔːja u ˈmøːe k u l ˈa ˈskwɛːʒi ˈseŋt ˈanˑi] ‘Andrea Doria morì quasi centenario’; o Fuggetta o parla da scituaçion poltica inta meitæ do Cinqueçento [u fyˈdʒetˑa u ˈpaːrla da ʃitwaˈsjuŋ puˈlitika iŋta mejˈtɛː du siŋkweˈseŋtu] ‘Foglietta descrisse la situazione politica alla metà del Cinquecento’.
Imperfetto
È il tempo che segnala un’azione continuata o contemporanea a un’altra, avvenuta nel passato.
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Si possono distinguere:
Imperfetto descrittivo: tipico delle descrizioni, corrisponde all’uso più caratteristico di questo tempo: gh’ea un bello sô chi luxiva [ɡ ˈeːa ŋ ˈbɛlˑu ˈsuː ki lyˈʒiːva] ‘splendeva un bel sole’.
Imperfetto iterativo: sottolinea il carattere abituale di un’azione che si svolge al passato: spesso risulta accompagnato da un avverbio o da un’espressione temporale: mæ poæ o stava sciù fito [ˈmɛː ˈpwɛː u ˈstaːva ʃy ˈfiːtu] ‘mio padre era solito alzarsi presto’. L’imperfetto iterativo segnala anche la durata ininterrotta di un’azione in un arco di tempo: o ducca de Savòia o çercava de longo de mette e moen in sciâ Repubrica [u ˈdykˑa de saˈvɔːja u serˈkaːva de ˈluŋɡu de ˈmetˑe e ˈmweŋ iŋ ˈʃaː reˈpybrika] ‘il duca di Savoia cercava continuamente di impadronirsi della Repubblica’.
Imperfetto narrativo: prolunga la durata dell’azione espressa dal verbo e la fissa nel tempo per presentarla all’ascoltatore: o piggiava a coverta e o croviva a figgetta [u piˈdʒaːva a kuˈvɛːrta e u kruˈviːva a fiˈɡetˑa] ‘prese la coperta e coprì la bambina’.
Imperfetto conativo: esprime fatti appena progettati o desiderati, un rischio che si è corso: ciù un pö l’ammassava [ˈtʃy ŋ ˈpɔː l amaˈsaːva] ‘per poco non lo uccidevo’; ghe scriveiva voentea, se saveiva dond’o stava [ɡe skriˈvejva vweŋˈteːa se saˈvejva ˈduŋd u ˈstaːva] ‘gli avrei scritto volentieri, se avessi saputo il suo indirizzo’.
Imperfetto di intenzione: esprime garbatamente un desiderio presente: vegniva à parlâte [veˈɲiːva a parˈlaːte] ‘venivo a parlarti’; ea chì che te çercava [ˈeːa ˈki ke te serˈkaːva] ‘cercavo te’; può essere usato anche per disporsi all’ascolto: cöse scià diva? [ˈkɔːse ʃa ˈdiːva] ‘cosa stava dicendo?’.
Imperfetto irreale: è l’imperfetto con il quale si indica l’ipotetica conseguenza di un fatto che non si è svolto: se ô saveivimo, no vegnivimo [s ˈɔw saˈvejvimu nu veˈɲiːvimu] ‘se lo avessimo saputo, non saremmo venuti’.
Imperfetto onirico e ludico: presente nei racconti dei sogni e delle finzioni nei giochi infantili: mi ea o sordatto e ti l’indian [ˈmi ˈeːa u surˈdatˑu e ˈti l iŋˈdjaŋ] ‘io ero il soldato e tu l’indiano’.
Imperfetto di prospettiva: indica il futuro nel passato, o l’à dito ch’o l’ea lì ch’o vegniva [u l ˈa ˈdiːtu k u l ˈeːa li k u veˈɲiːva] ‘ha detto che stava venendo’, o partiva doppodisnâ [u parˈtiːva dɔpudizˈnaː] ‘sarebbe partito nel pomeriggio’, quelli discorsci ean discorsci, e nint’atro [ˈkwelˑi disˈkuːrʃi ˈeːaŋ disˈkuːrʃi e niŋt ˈaːtru] ‘quei discorsi sarebbero rimasti discorsi’; a differenza dell’italiano, in questi casi non è possibile l’uso del condizionale composto.
Passato prossimo
Il passato prossimo indica un’azione che si svolge al passato rispetto al momento in cui si sta parlando. Dovendo sostituire anche le funzioni del passato remoto, scomparso in genovese, esso può riferirsi tanto a un’azione priva di legami con il presente e sempre collocata in un momento anteriore, sia a un’azione non necessariamente anteriore al momento dell’enunciazione: quand’o l’à tiou o risseu, o Balilla o l’à criou ‘che l’inse?’ [ˈkwaŋd u l a tiˈɔw u riˈsøː u baˈlilˑa u l ˈa kriˈɔw ke l ˈiŋse] ‘scagliando il sasso, Balilla gridò ‘che l’inse?’’; s’o no se n’é anæto da chì à dexe menuti, ciammo i carabinê [s u nu se n ˈe aˈnɛːtu de ˈki a ˈdeːʒe meˈnyːti ˈtʃamˑu i karabiˈneː] ‘se non se ne sarà andato entro dieci minuti, chiamerò i carabinieri’.
Trapassato prossimo
Indica un’azione anteriore rispetto a un punto d’osservazione già collocato nel passato: o l’ea vegnuo à casa arraggiou perché o l’aveiva perso o portafeuggio pe-a stradda [u l ˈeːa veˈɲyːu a ˈkaːza araˈdʒɔw pɛrˈke u l aˈvejva ˈpɛːrsu u pɔrtaˈfødʒˑu pjaː ˈstradˑa] ‘era venuto a casa arrabbiato perché cammin facendo aveva perso il portafoglio’; ò perso o fî, e doveiva dîte unna cösa importante [ˈɔ ˈpɛːrsu u ˈfiː e duˈvejva ˈdiːte na ˈkɔːsa iŋpurˈtaŋte] ‘ho perso il filo del discorso, mentre dovevo dirti una cosa importante’.
Futuro semplice e futuro composto
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Il futuro semplice è il tempo che serve a collocare l’enunciato in un momento successivo all’istante presente: vegniò doman [veɲiˈɔ duˈmaŋ] ‘verrò domani’. In realtà, per la semplice collocazione dell’azione al futuro si ricorre in genere al presente (cfr. 133.c), soprattutto quando si dà per certo lo svolgimento dell’azione della quale si parla. L’uso del futuro coinvolge quindi particolari valori o sfumature.
Futuro iussivo: è una sorta di variante attenuata dell’uso dell’imperativo: veu di che aloa ti gh’aniæ ti [ˈvøː ˈdiː ke aˈluːa ti ɡ aniˈɛː ˈti] ‘allora ci andrai tu!’.
Futuro attenuativo: il fatto viene collocato nel futuro come per frapporre una distanza psicologica tra l’enunciazione e la sua realizzazione: me tocchià domandâghe scusa [me tukiˈa dumaŋˈdaːɡe ˈskyːza] ‘dovrò chiedergli scusa.
Futuro nel passato: per esprimere la nozione di posteriorità rispetto a un punto prospettico collocato nel passato. È usato nelle narrazioni al posto del passato prossimo o remoto: ancon do 1849 Zena a çerchià d’infranchîse da l’occupaçion piemonteise [anˈkuŋ du mileøtuseŋtukwaraŋteˈnøːve ˈzeːna a serkiˈa d iŋfraŋˈkiːse da l okypaˈsjuŋ piemuŋˈtejze] ‘ancora nel 1849 Genova tentò di liberarsi dall’occupazione piemontese’.
Il futuro suppositivo non ha valore temporale; si ricorre ad esso per narrare un avvenimento attuale che si vuole presentare in forma incerta, dubitativa, ipotetica: saià doe oe [saˈja ˈduːe ˈuːe] ‘saranno le due’; o l’avià fin beseugno de pösâse un pittin [u l aviˈa fiŋ beˈzøɲˑu de pɔːˈsaːse ŋ piˈtiŋ] ‘avrà bisogno di riposare un po’’.
Il futuro anteriore esprime fatti proiettati nel futuro che si pensa siano già avvenuti anteriormente ad altri collocati anch’essi al futuro: se doman ti aviæ cangiou opinion, ti porriæ vegnî con noiatri [se duˈmaŋ ti aviˈɛː kaŋˈdʒɔw upiˈnjuŋ ˈti puriˈɛː veˈɲiː kuŋ nuˈjaːtri] ‘se domani avrai cambiato opinione, potrai venire con noi’; in questi casi è però frequente anche l’uso del presente.
Anche il futuro anteriore può avere valore suppositivo: o l’avià avuo beseugno de parlâte [u l aviˈa aˈvyːu beˈzøɲˑu de parˈlaːte] ‘avrà avuto bisogno di confidarsi con te’.
Congiuntivo
Il congiuntivo presenta soggettivamente l’idea verbale esprimendo il dubbio, la possibilità, il desiderio, l’esortazione. Dispone di quattro tempi (presente, passato, imperfetto e trapassato), e, essendo un modo caratteristico soprattutto delle subordinate, il suo tempo appare condizionato da quello della proposizione reggente. Per gli usi del congiuntivo nelle subordinate si rimanda al capitolo XIV.
Per gli usi del congiuntivo nelle frasi semplici si rimanda al capitolo XIII.
Condizionale
I tempi del condizionale sono due: presente e passato. Il condizionale si trova spesso in frasi semplici. In una frase collegata a una subordinata ipotetica, il condizionale esprime la conseguenza prodotta dalla realizzazione di una certa ipotesi, reale o supposta (se ti dixesci unna cösa pægia, ti faiësci unna brutta figua [se ti diˈʒeʃˑi inˑa ˈkɔːsa ˈpɛːdʒa ti faˈjeːʃi inˑa ˈbrytˑa fiˈɡyːa] ‘se tu dicessi una cosa simile, faresti una figuraccia’). Per l’uso del condizionale nelle frasi subordinate si rimanda al capitolo XIV.
Il condizionale può essere utilizzato come imperativo di cortesia (ti gh’aniësci à accattâ o læte? [ti ɡ aniˈeːʃi a kaˈtaː u ˈlɛːte] ‘andresti a comprare il latte?’), e per un’affermazione o negazione attenuata: no savieiva [nu saviˈejva] ‘non saprei’, diæ de scì [diˈɛː de ˈʃi] ‘direi di sì’.
Imperativo
L’imperativo ha solo il tempo presente. La terza, la quarta e la sesta persona dell’imperativo sono mutuate dal congiuntivo; la seconda e la quinta sono identiche alle corrispondenti forme dell’indicativo presente.
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In alcuni casi il presente congiuntivo può fare le veci dell’imperativo:
Alla terza, quarta, quinta persona dei verbi ëse [ˈeːse] ‘essere’, avei [aˈvej] ‘avere’, savei [saˈvej] ‘sapere’ e voei [ˈvwej] ‘volere’, che non possiedono proprie forme imperative: seggi bravo [ˈsedʒˑi braːvu] ‘sii buono’, aggi paçiensa [ˈadʒˑi paˈsjɛnsa] ‘abbi pazienza’, sacciæ aspëtâ o momento bon [saˈtʃɛː aspeːˈtaː u muˈmeŋtu ˈbuŋ] ‘sappiate aspettare il momento giusto’, ecc.; per la natura stessa dei verbi, le espressioni citate hanno però una connotazione essenzialmente esortativa.
Nell’imperativo di cortesia, la terza persona, che è in sostanza una seconda persona, viene sempre usata senza la congiunzione che [ke] ‘che’: scià vagghe [ʃa ˈvaɡˑe] ‘vada’; la congiunzione è sempre necessaria negli imperativi indiretti, nei quali ci si serve di un intermediario per trasmettere un ordine: ch’a m’aspete feua [k a m asˈpeːte ˈføːa] ‘(ditele) che mi aspetti fuori’.
Con la seconda e la quinta persona, per dare particolare enfasi a un comando, si può usare il congiuntivo preceduto da che [ke]: che ti â cianti! [ke ti ˈaː ˈtʃaŋti] ‘smettila’; che ve n’anæ! [ke ve n aˈnɛː] ‘andatevene!’.
L’imperativo negativo si forma con la negazione no [nu] ‘non’, unita alle forme dell’indicativo del verbo stâ [ˈstaː] ‘stare’ (anche dell’infinito per la seconda persona), seguite dalla preposizione à [a] ‘a’ e dall’infinito del verbo: no stæ à scrive [nu ˈstɛː a ˈskriːve] ‘non scrivete’, no stemmo à cantâ [nu ˈstemˑu a kaŋˈtaː] ‘non cantiamo’, scià no stagghe à beive [ʃa nu ˈstaɡˑe a ˈbejve] ‘non beva’; alcune espressioni cristallizzate con avei [aˈvej] ‘avere’ e ëse [ˈeːse] ‘essere’ hanno invece la negazione direttamente unita all’imperativo: n’aggi poia [n ˈadʒˑi ˈpwiːa] ‘non temere’, no seggi nescio [nu ˈsedʒˑi ˈneʃˑu] ‘non fare lo stupido’.
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L’imperativo esprime una vasta gamma di valori: comandi, preghiere, inviti, consigli, permessi, domande, proibizioni. In alcuni casi, però, la sua funzione originaria appare attenuata:
in segnali discorsivi come senti [ˈseŋti] ‘ascolta’, scià l’ammie [ʃa l aˈmiːe] ‘guardi’, ecc.
- in espressioni costituite da due o più imperativi dello stesso verbo o di verbi diversi, che equivalgono in pratica a un gerundio: cammiña che te cammiña [kaˈmiŋˑa ke te kaˈmiŋˑa] ‘cammina e cammina’, parla che te parla [ˈpaːrla ke te ˈpaːrla] ‘parla e parla’, monta de chì e chiña de là [ˈmuŋta de ˈki e ˈkiŋˑa de ˈla] ‘sali di qua, scendi di là’, picca, martella, cria, gh’ea un invexendo de l’anima [ˈpikˑa, marˈtelˑa, ˈkriːa, ɡ ˈeːa n iŋveˈʒeŋdu de l ˈanima] ‘picchia, martella, urla, c’era un fracasso infernale’.
L’imperativo può trovarsi solo in proposizioni principali volitive ed esclamative.
Infinito
Nell’infinito si possono distinguere usi verbali e usi nominali; per quanto riguarda gli usi verbali, per il suo utilizzo in frasi semplici si rimanda al capitolo XIII. Per l’uso nelle subordinate si veda il capitolo XIV.
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L’infinito può avere funzione di sostantivo:
in presenza di articolo, preposizione articolata, aggettivo dimostrativo, indefinito, esclamativo, relativo;
con un aggettivo qualificativo, un avverbio o un’espressione avverbiale: mangiâ de sprescia o fa mâ [maŋˈdʒaː de ˈspreʃˑa u ˈfa ˈmaː] ‘mangiare in fretta fa male’.
Participio
Il participio può avere sia caratteristiche di verbo che di aggettivo, e dispone del solo tempo passato. Il participio presente di stâ [ˈstaː] ‘stare’ sopravvive solo nella locuzione stante che [ˈstaŋte ke] ‘considerando che’, ‘poiché’ altri participi presenti sostantivati hanno ormai smarrito completamente la loro funzione verbale (ad esempio cantante [kaŋˈtaŋte] ‘cantante’, seccante [seˈkaŋte] ‘seccatore’).
L’uso verbale del participio passato si ha con i tempi composti di qualsiasi verbo e in alcune subordinate.
Tra gli usi aggettivali del participio passato sono caratteristiche espressioni del tipo vegno quande son çenou [ˈveːɲu ˈkwaŋde ˈsuŋ seˈnɔw] ‘verrò quando avrò cenato’; o figgeu o l’é tutto pisciou [u fiˈdʒøː u l ˈe ˈtytˑu piˈʃɔw] ‘il bambino se l’è fatta addosso’.
Gerundio
Il gerundio è normalmente connesso a un verbo finito, sia che i due verbi costituiscano frasi distinte (o l’é introu criando [u l ˈe iŋˈtrɔw kriˈaŋdu] ‘è entrato urlando’), sia che diano luogo a una sola struttura verbale (staggo mangiando [ˈstaɡˑu maŋˈdʒaŋdu] ‘sto mangiando’). Nell’uso attuale, però, il gerundio tende a scomparire per essere sostituito da locuzioni perifrastiche (cfr. 161).
In una costruzione oggi pochissimo usata, il gerundio può essere connesso anche con l’infinito di un verbo che attribuisce continuità o ripetizione all’azione: arrestâ ammiando [areˈstaː amiˈaŋdu] ‘rimanere a guardare’, comensâ lezendo [kumeŋˈsaː leˈzeŋdu] ‘iniziare a leggere’.
Il gerundio ha due tempi: presente e passato. Il gerundio passato contrassegna un’azione anteriore rispetto alla reggente, mentre il presente ha possibilità d’uso più ampie, potendo indicare di volta in volta contemporaneità, anterieriorità o anche posteriorità rispetto alla reggente.
Normalmente il gerundio condivide il soggetto del verbo finito con il quale è collegato. Diversità di soggetti può aversi quando uno dei due verbi, o anche entrambi, abbiano soggetto generico: cantando se ven allegri [kaŋˈtaŋdu se ˈveŋ aˈleːɡri] ‘cantando si diventa allegri’
Modi diversi di sostituire il gerundio
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Preferibilmente, in luogo del gerundio si usano alcune costruzionicon verbi fraseologici (cfr. 28) che danno vita a frasi composte con valore incoativo o progressivo:
con [kuŋ] ‘con’ + infinito: con mangiâ tutto o giorno ti vëgni grasso [kuŋ maŋˈdʒaː ˈtytˑu u ˈdʒuːrnu ti ˈveːɲi ˈɡrasˑu] ‘mangiando tutto il giorno diventerai grasso’.
in [iŋ] o inte [iŋte] ‘in’ + infinito: in parlâghe m’accorzeiva ch’o l’ea stanco [iŋ parˈlaːɡe m akurˈzejva k u l ˈeːa ˈstaŋku] ‘parlandogli mi accorgevo che era stanco’;
per rendere stare + gerundio:
verbo ëse [ˈeːse] ‘essere’ + preposizione apreuvo [aˈprøːvu] ‘dietro’ + preposizione à [a] ‘a’: son apreuvo à beive un gòtto de vin [ˈsuŋ aˈprøːvu a ˈbejve ŋ ˈɡɔtˑu de ˈviŋ] ‘sto bevendo un bicchier di vino’;
verbo ëse [ˈeːse] ‘essere’ + preposizione derê [deˈreː] ‘dietro’ + preposizione à [a] ‘a’: son derê à scrive unna lettia [ˈsuŋ deˈreː a ˈskriːve inˑa ˈletˑja] ‘sto scrivendo una lettera’.
verbo ëse [ˈeːse] ‘essere’ + avverbio chì [ki] ‘qui’ o lì [li] ‘lì’ + che [ke] ‘che’ + indicativo presente del verbo: son chì che scrivo unna lettia [ˈsuŋ ˈki ke ˈskriːvu inˑa ˈletˑja] ‘sto scrivendo una lettera’; talvolta l’avverbio può essere omesso: son che lezo [ˈsuŋ ke ˈleːzu] ‘sto leggendo’.
verbo stâ [ˈstaː] ‘stare’ + che [ke] ‘che’ + indicativo: a stà ch’a sente a radio [a ˈsta k a ˈseŋte a ˈradˑju] ‘sta ascoltando la radio’ (costrutto ormai di raro impiego).
verbo stâ [ˈstaː] ‘stare’ + preposizione à [a] ‘a’ + infinito: a stà à sentî a radio [a ˈsta a seŋˈtiː a ˈradˑju] ‘sta ascoltando la radio’;
verbo ëse [ˈeːse] ‘essere’ + chì [ki] ‘qui’ + à [a] ‘a’ + infinito: son chì à cantâ [ˈsuŋ ˈki a kaŋˈtaː] ‘sto cantando’.
Particolarità marginali nell’uso dei verbi genovesi
Forme supercomposte
Per esprimere un’azione conclusa nel passato, il genovese ammette occasionalmente l’uso di forme supercomposte con il trapassato prossimo indicativo o congiuntivo di avei [aˈvej] ‘avere’ e ëse [ˈeːse] ‘essere’ e il passato prossimo del verbo: quand’ò avuo finio de çenâ son sciortio [kwaŋd ˈɔ aˈvyːu fiˈniːu de seˈnaː ˈsuŋ ʃurˈtiːu] ‘quanto ebbi finito di cenare, uscii’; mæ figgio o l’é arrivou dòppo che son stæto partio [ˈmɛː ˈfidʒˑu u l ˈe ariˈvɔw ˈdɔpˑu ke ˈsuŋ ˈstɛːtu parˈtiːu] ‘mio figlio arrivò dopo che fui partito’; se vëi seia quande sei partii avesse avuo finio de mangiâ, saieiva sciortio con voiatri [se ˈveːi ˈsejˑa ˈkwaŋde ˈsej parˈtiːi aˈvesˑe aˈvyːu fiˈniːu de maŋˈdʒaː saˈjɛː ʃurˈtiːu kuŋ vuˈjaːtri] ‘se ieri sera, quando partiste, avessi già cenato, sarei uscito con voi’. Tali usi si incontrano solo in proposizioni temporali e ipotetiche.
Uso pleonastico del pronome dativo
È di raro uso colloquiale ed enfatico la ripresa del pronome atono, soprattutto dativo con alcuni verbi come poei [ˈpwej], voei [ˈvwej] e dovei [duˈvej] ‘dovere’ agevolata dalla posizione libera del pronome stesso: te veuggio dîte che doman no ghe son [te ˈvødʒˑu ˈdiːte ke duˈmaŋ nu ɡe ˈsuŋ] ‘voglio dirti che domani sarò assente’, se ti veu, ghe pòsso dîghe che no t’ò attrovou [se ti ˈvø ɡe ˈpɔsˑu ˈdiːɡe ke nu t ˈɔ atruˈvɔw] ‘se vuoi, posso dirgli che non c’eri’, me veuggio ascordâme che ti me l’aggi dito [me ˈvødʒˑu askurˈdaːme ke ti me l ˈadʒˑi ˈdiːtu] ‘voglio dimenticare che tu me lo abbia detto’; ne pòsso fâne à meno [ne ˈpɔsˑu ˈfaːne a ˈmeːnu] ‘posso farne a meno’. Tale uso diventa più frequente nei dialetti locali.
Residui della coniugazione esclamativa
Il genovese ebbe fino al sec. XVIII una «coniugazione interrogativa/esclamativa» caratterizzata dall’utilizzo enclitico del pronome: cös’àla? ‘che ha?’, spartivo! ‘dividetevi’, ecc. Una forma cristallizzata è rimasta nell’uso del verbo poei [ˈpwej] ‘potere’ in esclamazioni che hanno ormai assunto i caratteri di vere e proprie interiezioni, come pòscito ëse ammassou [ˈpɔʃitu ˈeːse amaˈsɔw] ‘possa tu essere ammazzato’, pòscito ëse allughettou [ˈpɔʃitu ˈeːse alyɡeˈtɔw] ‘possa tu essere rinchiuso!’. La completa scomparsa della funzione verbale si riscontra nell’uso espressivo di questa forma, in frasi come o m’à fæto un mâ do pòscito ëse [u m ˈa ˈfɛːtu ŋ ˈmaː du ˈpɔʃitu ˈeːse], ‘mi ha fatto un male dell’accidente!’.
Tracce di flessione dell’infinito
Di uso molto raro sono alcune tracce di flessione dell’infinito verbale, segnatamente alla sesta persona dell’infinito ëse [ˈeːse] ‘essere’ preceduto da dovei [duˈvej] ‘dovere’: dev’ësan stæti contenti [deːv ˈeːsan ˈstɛːti kuŋˈteŋti] ‘debbono essere rimasti soddisfatti’.