Alerame Traversagni (XV sec.)
Il primo scrittore savonese – in ordine cronologico – di cui si conosca il nome, è Alerame Traversagni che, nel 1455, scrive un volgarizzamento della vita di Santa Elisabetta d’Ungheria: Alerame apparteneva ad un’illustre famiglia savonese di celebri umanisti, come Giovanni Antonio, autore di opere ascetiche e matematiche, e fra’ Lorenzo Guglielmo (1422-1503), che insegnò filosofia e teologia a Pisa, Roma, Parigi, Cambridge e Tolosa. Di Alerame non si sa quasi niente, ma forse la vita di Sancta Elisabeth è solo un frammento di un’opera più lunga sulle vite dei santi, che è andata perduta. L’autore fa capire l’intenzione di dimostrare come una donna laica possa arrivare alla santità mediante doti soprattutto umane, come la penitenza, la carità, e le opere di misericordia, rimanendo coinvolta nelle cose del mondo. Conseguentemente, gli elementi meravigliosi e soprannaturali sono ridotti al minimo e dal racconto traspare quasi una concezione razionalista, in un certo senso moderna. Il testo mostra anche una insolita cura della forma e testimonia anche la presenza di un ambiente culturale alquanto raffinato, quello stesso da cui avrà origine, da lì a poco, la grande affermazione della dinastia papale dei Della Rovere. La lingua usata è il ligure decadente del tardo Quattrocento, molto mischiato con il toscano, ma ben riconoscibile.
Legenda de Sancta Elizabet
[…]
Ella daxea a beive a li poveri cicienti. Distribuendo seme la cervoxa a li poveri, abiando dato sufficientemente a ogni persona, fo trovato che il vazo non era niente mancho, ma cossì pieno como inanti. Ella receveva li pelegrini et li poveri in suo hospicio. Una grandissima caza fè fare soto lo so castelo, en la quale era grande multitudine de poveri, li quali ogni dì visitava, non obstante la montà e la vala grande che era difficile. Ogni cossa necessaria li donava, et, che pu, li exortava a patientia cum parole bone. Et bem che ella temeva ogni corroto aere, niente de meno la stè non aborriva la corrucion de li infirmi, ma dava li remedj boni et sufficienti; et cum lo veleto de la sua testa li forbia, et cum le proprie main li contractava, ben che le ancille avessen a greve tale cosse. In quela propria caza fava norigar cum summa diligentia li infanti de le povere femine, a li quali se mostrava tanto dolce et humile, che tuti la ihamavano madre. Et intrando essa in caza, tuti la seguivan como madre, et cum sumo studio se alongavam a ella. Avea fato comperare certi vasi di vitro, asò che li infanti in tali vasi feisem li zogi de li infanti: li quali vasi, portandoli da cavalo in castelo, cadendo sum la rocha de molto alto, in nulla cossa se rompitem.
Ella visitava li infermi: la occupation de li infermi tanto la occupava in l’animo, che, cercando li soi hospicij diligentementi, ferventementi li visitava, intrando in le soe camerete humilementi, ni lassava ni per longa via ni per aspera; a li quali soveniva de cosse necessarie e consolative. Et se afrequentava a le sepolture de li morti cum devocione. Le veste che ella aveiva fate de le soe main, le aconsava intorno li morti. Intanto che lo so veleto grande lo partì in doe parte per fasar uno povero morto; le soe sepolture contractava cum le soe main, devota a le soe exequie, cioè quando era dicto o facto lo officio e tuto.
Traduzione italiana
Ella dava da bere ai poveri assetati. Distribuendo una volta la birra ai poveri, avendo dato suffcientemente ad ogni persona, si trovò che il vaso non era diminuito affatto, ma pieno come innanzi. Ella riceveva i pellegrini e i poveri nel suo ospizio. Fece costruire sotto il suo castello un grandissimo edificio, in cui era una grande moltitudine di poveri, i quali visitava ogni giorno, nonostante la salita e la grande valle che erano difficili. Donava loro ogni cosa necessaria e soprattutto li esortava alla pazienza con buone parole. E benché temesse ogni aria corrotta, nondimeno d’estate non aborriva il fetore degli infermi, ma forniva i rimedi buoni e sufficienti; e con il velo del suo capo li puliva, e con le proprie mani li medicava, benché le ancelle detestassero tali cose. In quella stessa casa faceva nutrire con somma cura i bambini delle donne povere, verso i quali si mostrava tanto dolce e umile, che tutti la chiamavano madre. Ed entrando essa in casa, tutti la seguivano come una madre, e con sommo rispetto si avvicinavano a lei. Aveva fatto comprare certi vasi di vetro, affinché i bambini in tali vasi facessero i giochi dei bambini; i quali vasi, venendo portati a cavallo in castello, cadendo sulla rocca da molto alto, non si ruppero affatto.
Ella visitava gli infermi; la cura dei malati tanto la occupava nell’animo, che accudendo i suoi ospiti diligentemente, li visitava con fervore, entrando con umiltà nelle loro camerette, né li tralasciava per la lunghezza della cura, né per le difficoltà; ad essi provvedeva di cose necessarie e consolanti. E frequentava le sepolture dei morti con devozione. Delle vesti che aveva fatto con le sue mani rivestiva i morti. Mentre divise in due parti il suo velo grande per fasciare un povero defunto, disponeva le loro sepolture con le sue mani, devotamente alle loro esequie, cioè quando l’officio era detto e fatto completamente.