Questioni di Boezio
Nel Trecento, secolo dell’istituzione del dogato perpetuo, con la tragica figura di Simon Boccanegra, il primo Doge, che cerca di contenere le discordie tra le classe sociali, di frenare la prepotenza di nobili e plebei, e muore assassinato per vendetta da alcuni dei suoi stessi sostenitori, non ci sembra strana la presenza di questa traduzione dal De consolatione philosophiae di Boezio (tramite il francese di Jean de Meung), con le sue esortazioni alla concordia e la sua condanna dell’avidità degli uomini.
L’avidità dell’uomo ricco
Se tante como in lo mar
e in l’aire oxeleti e serenne
fossem stelle in lo firmamento
chi aministrassen tuto tempo
fortunna a li homi coveoxi,
oro, argento e doim precioxi,
za per so no cesseream,
ma pu sempre aver vorream,
che se tutti fossem inffoxi
no seream per so saolli.
Aotra guissa de piu aquistar
cercheream in terra e in mar,
che quando covea è piu richa
assai è piu avara e trista.
Letto da Alessandro Guasoni
Traduzione italiana
Se tante come in mare
e nell’aria uccelletti e sirene
vi fossero stelle nel firmamento
che somministrassero per tutto il tempo
fortuna agli uomini avidi
in oro argento e doni preziosi,
non per questo cesserebbero,
ma sempre più vorrebbero avere,
ché se tutti ne fossero sommersi,
non sarebbero per ciò satolli.
Altro modo di acquistarne ancora
cercherebbero per terra e per mare,
ché quando il desiderio si fa più ricco
tanto più è avaro e tristo.
Mutevolezza della sorte
Le descrizioni del mondo naturale introducono per la prima volta nella poesia genovese il senso lirico del paesaggio, inteso come specchio della condizione umana, che prosegue tra i nostri poeti fino ad oggi, a Firpo e ancora dopo, e in tal modo un’eco di questi versi è giunta fino a noi.
Lo mattin che lo sol è nao
bello vermegio e affiamao,
a le stelle leva soa lumera
e fa pallidar lor biancha ihera
alle fior da so condimento
e a le roze dolce olimento.
E poi ven la freida brixa
chi rosse abate e fior debrixa.
Or è lo mar suave e clar
or asperessa per ventar.
Cossì se cambia natura
chi no fa per aventura,
anti avrà corsso certo e staber
fortunna, chi è sì muaber?
Letto da Alessandro Guasoni
Traduzione italiana
Al mattino quando il sole è nato
bello vermiglio e fiammeggiante
toglie alle stelle la sua luce
e fa impallidire il loro bianco volto:
ai fiori dà il loro ornamento
e alle rose dolce alimento.
E poi viene il vento freddo
che abbatte le rose e piega i fiori.
Ora il mare è soave e chiaro
ora burrascoso per tempesta.
Così se cambia la natura,
che non lo fa per caso,
avrà al contrario corso certo e stabile
la fortuna, che è così mutabile?
L’ordinato bene divino
Una poesia sull’ordine divino, cui tutte le cose tendono interamente, senza eccezione, fa pensare, come tutta la traduzione da Boezio, che potesse esservi a Genova un pubblico in condizione di apprezzare la filosofia e la cultura antiche, e forse un interesse verso la contemporanea cultura d’Oltralpe, vista la frequenza dei prestiti dal francese. Il confronto della parola «gagieta» al verso 2, con «gabia» al verso 5, fa capire che il nesso «bi+vocale» si pronunciava «gi» già a quei tempi, e perciò quelle che molte volte sembrano italianizzazioni del genovese antico, sono solo dovute alle particolarità di una grafia etimologica.
E se noi metemo unna oxeleta
in unna bella gagieta,
a chi cum grande studio e cura
aparegiamo la pastura
se o po inssir de la gabia,
mantenente a la boschagia
se ne va cum grande allegressa
no tardando ma in freza
Se mam prende e tira in terra
l’aota cima de unna ferla
tantosto como ella se lassa
a lo cel drita se passa.
La seira va in occidente
lo sol, chi in oriente
vei lo matin retornar
per la terra inluminar.
E la lunna chi renova
per tondir so che ella trova,
quando ella a tuto cerchao
torna pur in lo so stao.
Ogni cossa a sua natura
torna, d’aotro no ha cura,
e pur s’acordam in la fim
unde è ordenao lo bem divim.
Letto da Alessandro Guasoni
Traduzione italiana
E se noi mettiamo un uccellino
in una bella gabbietta
e con grande studio e cura
gli prepariamo il becchime,
se può uscire dalla gabbia,
immantinente alla boscaglia
se ne va con grande allegrezza
senza indugio, ma in fretta.
Se una mano prende e tira a terra
l’alta cima di un arbusto
non appena essa lo lascia
quella si lancia verso il cielo.
Alla sera va in occidente
il sole, che in oriente
vedete al mattino ritornare
per illuminare la terra.
E la luna che si rinnova
per girare attorno a ciò che trova,
quando ha tutto circondato
torna pure al punto di partenza.
Ogni cosa alla sua natura
ritorna, e d’altro non si cura
e si accorda alla fine
con l’ordinato bene divino.
L’avarizia
Questo vizio, del quale vengono spesso accusati i genovesi, per lo più commercianti, doveva essere ben presente alla coscienza degli uomini di quei tempi; l’intonazione generale è quella delle poesie morali dell’Anonimo.
Se l’avaro avesse verger
campi, vigne e bel mayner,
e bosschagie e prarie
e de thessoro signorie,
za sacià no serea
de pù aquistar covea,
de lassar certa seando
tuto a la morte, e no sa quando.
Letto da Alessandro Guasoni
Traduzione italiana
Se l’avaro avesse giardini,
campi, vigne e una bella casa,
e boschi e praterie
e la proprietà di un tesoro,
giammai sazia non sarebbe
la sua voglia di avere di più,
pur essendo certo di lasciare
tutto alla morte, neppure sa quando.