Conseggio pe-o patrimònio linguistico ligure

Conseggio ligure

Opera e lamento di Genova che tratta della guerra e del sacco dato ad opera degli spagnoli l’anno 1522

Presentazione a cura di Alessandro Guasoni

In questo testo, opera di un poeta sostenitore della famiglia Doria, si può osservare – secondo F. Toso – «il tentativo di approdare ad un modello “toscano” di poesia; le sue strofe di ottonari rappresentano un rozzo esperimento di approdare all’ottava italiana». La lingua è un genovese travestito da «toscano» e rappresenta il punto più basso della decadenza che si verificò dalla metà del Quattrocento in poi, di pari passo con la decadenza politica di Genova.

Zena son la tribulata
posta in pianti e amari doli,
Milan, Franza e Spagnoli
m’hanno tutta insanguinata
Zena son la tribulata.
De le donne i asperi cridi
se sentin presso a Varazo
vedendo de li maridi
esser facti tanti oltrazo,
a li trenta di di mazo
facta fu sta mortal guerra,
tremava tutta la terra
de tanta artegliaria sparata.
Zena son…
Le donne forte piangevano
li figlioli e lor maridi,
da i balconi li vedevano
mortalmente esser feridi,
con dolori e amari stridi
tremaven como la foglia,
tal vendetta no fu a Troia
quando fu arsa e disfacta
Zena son…
Presen tuta la citade
a la costa e a la marina,
senza far deshonestade
non a donne non a fantina;
non aspectarno a la matina
benché ognuno fosse stracco,
comenzorno a dare il sacco
como gente indiavolata.
Zena son…
Den principio a ruinare
de richissime bothega,
comenzorno a infagotare
menando ogni cosa arregha,
tenaglie, martelli e segha
per arompere ogni banchale,
pareva la turba infernale
che fusse descatenata.
Zena son…
Corsen proprio come un vento
al Carrogio degli Argenteri
do’ trovorno oro e argento
per carigare dexe murateri;
altri andorno ai draperi
in Caneta ai drapi fini,
lì spazorno i maghazini,
è la porta fracassata.
Zena son…
Chi porria estimar el dagno
facto al Carrogio de Fillo?
Se carghò ogni compagno
tutti de lavor sutillo:
el patron stava humilo,
non osava a parlare
per paura de relevare
qualche vegia bastonata.
Zena son…
Altri andorno Sottoripe
e tutto butorno abasso,
zenzere, canelle e pipe,
ognuno si faceva fasso;
dapoi facto el gran fracasso
de le altre speciaria,
li butorno per la via
e più case fon brusata.
Zena son…
A la piaza de San Si
lì ferno un gran botin
che bastava assai per si
de ducati assai fiorin;
venendo per il camin
a la Piaza de San Luca,
cridando «Spagna, Adorno e Duca»
la piaza fu sachegiata.
Zena son…
Lì a la Piaza di Banchi
trovoron da botinare,
se non si impin ben li fianchi
posseno tutti crepare.
Anchora volseno andare
a la Piaza di Catani,
trovon la roba amontonata.
Zena son…
Tuta la cità de Zena
la menorno per eguale,
fin che la botte fu piena
non lassorno de far male.
A la Piaza de Zigalle
tra brocadi e veludi
valivan cento millia scudi
a farne bona derrata.
Zena son…
Non lasson nissun palacio
che non butasseno la mano,
citadini o capelazo,
merchadante o arthesano:
li tollevano il gabano,
per forza se lassavan prende
per non stare a contende
con tal gente arrabiata.
Zena son…
[…]

Traduzione italiana

Io sono Genova la tormentata
messa in pianti e amari duoli,
Milano, la Francia e gli Spagnoli
mi hanno tutta insanguinata,
io sono Genova la tormentata.
Delle donne le aspre grida
si udirono fino a Varazze,
vedendo dei mariti
essere fatto tanto oltraggio,
addì trenta di maggio
fu fatta questa mortale guerra,
tremava tutta la terra
per tanta artiglieria sparata.
Io sono Genova…
Le donne piangevano forte
i loro mariti e figli,
dalle finestre li vedevano
venir mortalmente feriti,
con dolori e amare strida,
tremavano come foglie,
una tale strage non fu a Troia,
quando fu arsa e distrutta.
Io sono Genova…
Presero tutta la città
dalla costa e dal mare,
senza commettere violenza
non a donna non a bambina;
non attesero la mattina
benché ognuno fosse stanco,
cominciarono a mettere a sacco
come gente indemoniata.
Io sono Genova…
Diedero principio a rovinare
delle ricchissime botteghe,
cominciarono a fare fagotti
portando via ogni cosa a fasci,
tenaglie, martelli e seghe
per rompere ogni cassapanca,
sembrava una turba infernale
che si fosse scatenata.
Io sono Genova…
Coresero proprio come il vento
in vicolo degli Argentieri
dove trovarono oro ed argento
da caricare dieci mulattieri;
altri andarono dai drappieri
in Canneto dalle stoffe fini,
lì spazzarono i magazzini,
lasciando la porta fracassata.
Io sono Genova…
Chi potrebbe stimare il danno
fatto in Vicolo del Filo?
Si caricò ogni compare
di tutte le opere fini;
il proprietario se ne stava umile,
non osava parlare
per paura di beccarsi
qualche buona vecchia bastonata.
Io sono Genova…
Altri andarono in Sottoripa
e tutto buttarono di sotto,
di zenzero, cannella e pepe,
ognuno si faceva un fascio;
poi, fatto un gran miscuglio
delle altre spezie,
le buttarono per la via
e più case furono bruciate.
Io sono Genova…
In piazza di San Siro
fecero un gran bottino
che per ducati e fiorini
era abbastanza;
venendo per la strada
alla piazza di San Luca,
gridando «Spagna, Adorno e Duca»
la piazza fu saccheggiata.
Io sono Genova…
Lì in piazza Banchi
trovarono da fare bottino,
se non si riempirono bene i fianchi
possano tutti crepare.
Ancora vollero andare
in piazza Cattaneo,
trovarono la roba ammucchiata.
Io sono Genova…
Tutta la città di Genova
fu trattata allo stesso modo,
finché la botte fu piena
non cessarono di far del male.
In piazza Cigala
tra broccati e velluti
valevano cento mila scudi
a venderli a buon prezzo.
Io sono Genova…
Non lasciarono alcun palazzo
in cui non mettessero mano,
cittadini o nobili,
mercanti o artigiani:
gli toglievano il mantello,
e loro se lo lasciavano prendere
per non dover contendere
con gente così furiosa.
Io sono Genova…
[…]