Gian Giacomo Cavalli (1590–1658)

Gian Giacomo Cavalli è considerato il maggiore poeta in genovese di tutti i tempi; nato verso la fine del secolo sedicesimo e morto nel 1658, ci si presenta con tutte le virtù e tutti i difetti dell’età barocca. Non sarà un caso se il massimo splendore della poesia ligure viene toccato con il concettismo, che in italiano – al contrario – ha potuto dare vita solo alle contorsioni insipide e lambiccate di G.B. Marino e dei suoi seguaci. Forse la lingua ligure, così concreta per sua natura, è più utile dell’italiano ad esprimere i concetti più astratti e più sottili, usando le parole di tutti i giorni e ottenere così, per contrasto e cortocircuito, la poesia; lo stesso è stato detto dell’inglese di Shakespeare e John Donne, le cui metafore e ragionamenti arditi – secondo alcuni – sarebbero stonati al di fuori della loro lingua nativa.
Il barocco nasce con le prime grandi crisi del mondo moderno; il pensiero di Pascal e di Cartesio, la Riforma e la Controriforma seminano dubbi nell’uomo di allora, che inizia ad essere tormentato dalla mancanza di senso della vita. E il Cavalli ci parla proprio di quest’ansia così moderna, sotto la finzione della poesia petrarchesca delle pene d’amore, in una fusione perfetta tra forma e sentimento, dove la passione amorosa è, sì, un pretesto per scrivere un pezzo di bravura, ma non può neppure essere detta veramente falsa, poiché assume una sua verità grazie all’arte del poeta; ci piacerebbe la descrizione della lucciola anche se le sofferenze del Cavalli fossero tutte inventate, perché tutti in qualche momento siamo stati sbalestrati qua e là dal destino o dalla passione.
Il Cavalli porta avanti anche la tradizione degli encomi dogali, e anche lì tocca delle cime mai toccate prima; per noi non ha importanza se i principi cantati dal Cavalli meritassero realmente il suo elogio; ciò che conta sono le figure ancora oggi fresche e vive della sua immaginazione: le ombrine, i branzini, il bronco, la murena, le anguille e gli altri pesci che festeggian l’elezione a Doge di Giorgio Centurione, facendo «scherzi e stravaganze da stupire» in una fantasia marinaresca che rimane nella memoria del lettore.
Partensa per marinna
Partì da ra sò vitta,
Cara bella, oh che morte,
A carta, ò calamitta,
Confià ra sò sorte
Oh, che affanno, oh che vive,
duro da immaginà, no che da scrive.
Parto, ve lascio, oh Dio,
in quenti squarsi , e parte
l’annima in dive adio
se me strassa e se parte;
Unna stissa d’inchiostro
Com’è bastante à di quanto son vostro?
Son vostro ò Bella Cara;
Sarò vostro in eterno.
L’Annima in ogni cara
Farà vitta d’inferno,
Larga da ri vostri oeggi
che farala de care, ni de scoeggi?
Frusta, languida, smorta
da tutt’ore dolente,
L’odirei lì a ra porta,
Spirito impatiente,
Repricave in prezensa
Quello ch’a ve protesta oura in partensa.
Che a vuoi sola nassua,
Per vuoi sola a respira;
Che ro loego ch’a mua
Nò porrà moæ partira
Da ro sò proprio loego:
Da vuoi foera dra quà l’è dent’ro foego.
Ma zà sento ro tiro,
Cangio ro canto in chienti;
Mando questo sospiro;
Vaggo pe ri mæ venti;
Amò, che bella festa?
Comme posso partì, se ro cuoe resta?
Traduzione italiana
Partirsi dalla propria vita
cara bella, oh, che morte!
A carta e calamita
affidar la propria sorte
Oh, che affanno, oh, che vivere
duro da immaginare come da scrivere.
Parto, vi lascio, oh Dio
in quanti squarci e parti,
l’anima in dirvi addio mi si squarcia e si divide.
Una goccia d’inchiostro
com’è bastante a dir quanto son vostro?
Sono vostro, o bel viso,
sarò vostro in eterno
l’anima in ogni baia
farà vita d’inferno
lontana dai vostri occhi,
che se ne farà di baie e di scogli?
Consunta, languida, pallida,
sempre dolente
l’udirete alla porta
spirito impaziente
replicarvi in presenza
ciò che vi proclama ora partendo:
che nata solo per voi
solo per voi respira
e che il luogo che cambia
mai potrà allontanarla
dal suo proprio luogo:
da voi, lungi dalla quale è come nel fuoco.
Ma già sento il richiamo,
cambio il canto in pianti;
mando questo sospiro
vado verso il mio destino.
Amore, che bella festa?
Come posso partire, se il cuore resta?
Patì per gove
Pù che Amò me fasse vei,
oeggi belli desperæ,
quelli sguardi un dì cangiæ,
onde poei,
se vorei,
fà ri cuoe resuscitæ,
sæ per mi ra pietæ morta:
no m’importa.
Seimi rigidi in barcon
se me vei pe ra contrà;
in re veggie fæme fà
l’arbicon,
stæme in ton,
senza moeve ò parpellà;
pertuzæme ogni momento,
son contento.
Gusterò d’esse giassòu
pe re bocche dri Citten;
d’esse foera dri mezen,
ballezòu
mordiggiòu,
com’appointo
d’esse à tutti ro sorasso,
ro scovasso.
Ma se un dì me compatì,
che cangiæ con mi latin,
che mi monte ro scarin,
de poei dì,
che aggradì
ri mæ stenti in sciù ra fin,
oh, che amàreghi ben speixi,
che Pareixi.
Traduzione italiana
Purché Amore mi faccia vedere,
occhi belli disperati,
quegli sguardi un dì mutati
onde potete, se volete,
far i cuori resuscitare,
sia per me la pietà morta,
non m’importa. Siatemi rigidi alla finestra,
se mi vedete per la strada;
nelle veglie fatemi fare
la figura dello sciocco,
statemi severi,
senza muovere o lappoleggiare;
trapassatemi ogni momento,
son contento. Godrò d’essere deriso
sulle bocche dei borghesi;
d’essere fuori dalle case
bersagliato,
mordicchiato,
veramente
d’essere per tutti
il sollazzo
il pagliaccio (letteralm. «la scopa da forno») Ma se un dì mi compatite
e cambiate modo di trattare,
sì ch’io salga tale scalino,
da poter dire
che gradite
infine i miei stenti,
oh, bene spese amarezze,
quali paradisi!
Rossignuoe
In molti casi le canzoni del Cavalli riecheggiano le melodie del conterraneo e contemporaneo Gabriello Chiabrera, che in più occasioni gli attestò stima.
Rossignuoe, che a son de chienti,
de lamenti,
ti pertuzi ra boscaggia,
che gran raggia,
che gran spinna,
te pertusa e t’assassinna?
Æla amò che, per bonombra,
forsi all’ombra
se trategne sotto l’ara
ra tò cara?
O martello
ch’a te dagghe d’atro oxello?
Se l’è questo ro tò sdegno,
semmo à segno,
no te manca compagnia;
girosia,
comme tie,
m’assassinna mi assie.
Femmo donca à ra foresta
dro mà festa
tra ri treppi d’este ramme;
ognun chiamme
ra sò bella,
ra battezze per rebella
E se à caso a no responde,
s’a s’asconde,
carreghemmoghe ri panni
con maranni;
s’a se muoeve
ti ni mi, no se descruoeve:
E se, missa all’accimento,
quarche chiento
ghe notassimo, o sospiro,
femmo un tiro,
demmo un crio,
con pagara d’un adio.
Traduzione italiana
Usignolo che, con i tuoi pianti
e lamenti
buchi la boscaglia,
quale rabbia,
quale spina
ti trafigge e ti assassina?
Forse è Amore che per scherzo
all’ombra
trattiene sotto l’ala
la tua cara?
O tormento
ti dà a causa d’un altro uccello?
Se è questo il tuo sdegno
siamo a posto
non ti manca compagnia
gelosia
come te
assassina anche me.
Nella foresta facciamo dunque
conto che il male sia una festa
tra gli scherzi di questi rami;
ognuno chiami
la sua bella
e la chiami leggera.
E se per caso non risponde
se si nasconde
carichiamola di improperi
se si muove
nè tu nè io scopriamoci.
E se, così punzecchiata,
qualche pianto
notassimo in lei, o sospiro,
giochiamole un tiro
diamo un grido
pagandola d’un addio.
Chiarabella
Chiarabella,
luxernetta,
lanternetta,
stella picciena ma bella,
chi te ghia
fantasia
de passà così l’humò
ò chiù tosto ro tò Amò?
Quello raggio
de lumetto
così netto
ælo lumme da viaggio,
ò gioiello
per anello;
æla pria da ligà;
ælo fuoego, ò pù o ro pà?
Se l’è fuoego
bordellinna
o no strinna?
Come fato à trovà luoego?
Ti verezzi?
Ti garezzi?
Ti te poæri d’esse in Cé
con l’Inferno de derré?
Bella sorte,
bià tie,
così mie
mi ch’Amò me dà ra morte
mi ch’un forno
noette e giorno
in mæ vitta ho da patì,
ni me spero moæ d’uscì.
Figatella,
ferma, aspissa
unna stissa
à ra tò ra mæ faxella,
perché a luxe,
ma no bruxe
à ra crua chi ha tanta sæ
dro mæ fuoego, e no ro cræ
Traduzione italiana
Lucciola,
lucernetta,
lanternetta
stella piccola ma bella,
chi ti guida,
la fantasia,
di spassartela così
o piuttosto il tuo Amore?
Quel raggio di lumicino
così chiaro,
è esso un lume da viaggio,
o un gioiello
per anello;
è pietra da legare;
è fuoco, o solo lo sembra?
Se è fuoco,
birichina,
non scotta?
Come puoi riposare?
Veleggi?
Galleggi?
Ti sembra d’essere in cielo
con l’inferno dietro?
Bella sorte,
beata te,
e così io lo stesso,
io, cui Amore dà la morte,
io, che un forno
notte e giorno
in mia vita ho da patire,
né mai spero d’uscirne.
Tesoruccio,
ferma, accendi
un po’
alla tua la mia torcia,
perché brilli,
ma non bruci,
alla crudele che ha tanta sete
del mio fuoco, e non lo crede.
Rondaninetta
Rondaninetta,
che inanzi giorno
pe ro contorno,
grillarinetta,
ti chiarli tanto
ferma un tantin ro canto.
Ti sæ che l’hora
dra mæ chiù cara,
quanto à desciara
no passa ancora.
Che fin t’indue
dunca à fara stà sciùe?
Forsi ro fæto
perché increscioza,
fastidioza,
s’heri a m’ha dæto
un dì de spinne
ancuoe ch’a m’assassinne?
O pù per gusto
che Amò chi ingrassia,
chi se sganassia
dro tò desgusto,
haggie ra pæsta
de veite in tanta festa?
Taxi pestummo,
che ri tuoe chienti,
ri tuoe lamenti,
ghe san de fummo,
lé se ne rie,
ti no dormi, nì mie.
Traduzione italiana
Rondinella,
che anzi giorno
tutto attorno,
così vivace,
chiacchieri tanto,
ferma un poco il tuo canto.
Tu sai che l’ora
di destare la mia più cara
non è ancora arrivata.
Che fine t’induce
dunque a farla alzare?
Forse perché se ieri
incresciosa,
fastidiosa,
mi ha dato
una giornata di spine
temi che oggi mi assassini?
Oppure per divertirti,
sì che Amore che ingrassa
e si sganascia
del tuo dispiacere
si affligga
di vederti così in festa?
Taci piccina,
ché i tuoi pianti,
i tuoi lamenti,
per lei sono fumo,
lei se ne ride,
tu non dormi, e io neppure.
Donna, serpente de l’inferno crùa
Un puritano orrore della donna, vagamente controriformista e masochistico, compare in alcuni versi del Cavalli, ma ci vuole poco a capire che anche la descrizione dei tormenti d’amore è pretesto per i suoi raffinatissimi virtuosismi stilistici.
Donna, serpente de l’inferno crùa,
uscìa da ro profondo de l’abisso
per métteme à sbaraggio e in compromisso
l’annima in terra per ro Cé nassùa.
Donna, à ro mondo, posso dì, vegnùa,
come Domenedé forsi ha permisso
per tormentame e fame in breve schisso
ro retreto d’unn’annima perdùa.
Zà che re mæ pecchæ me han condannòu
à così agra e dura penitensa
de pregà sempre un marmaro incarnaou,
sbatto in terra à ra fin dra patiensa,
e de tanti sospiri c’ho buttaou
ve demando ra morte in recompensa.
Traduzione italiana
Donna, serpente dell’inferno crudele,
uscita dal profondo dell’abisso,
per sbaragliarmi e compromettere
in terra l’anima nata per il cielo.
Donna, venuta al mondo, posso dire,
con il permesso di Dominedio,
per tormentarmi e mostrarmi in breve
il ritratto d’un anima perduta.
Già che i miei peccati mi hanno condannato
a così aspra e dura penitenza
di pregare sempre un marmo fatto carne,
cado a terra alla fine delle mie forze,
e dei tanti sospiri che ho gettato
vi domando la morte in ricompensa.