La raxone de la Pasca (XV sec.)
La raxone de la Pasca è un incunabolo, di cui sono conosciute solo due esemplari, e conta diversi primati: poiché risale al 1474, è il primo testo a stampa che sia uscito in Liguria, il primo «lunäio» stampato da queste parti, e uno dei primi in Italia. Non si sa con sicurezza chi l’abbia scritto, ma in parte è un estratto, tradotto in una specie di volgare molto genovesizzante, di due opere dovute all’umanista Jacopo Bracelli: la Descriptio Orae Ligusticae e il De claris Genuensibus Libellus. Le citazioni, benché apocrife, da Dante e tutto l’insieme fanno pensare a una persona di cultura, forse un religioso, che in modo velato prende posizione nella politica dei suoi tempi e La raxone si inserisce nel filone di poesia civile che fin dal principio caratterizza la letteratura in genovese; secondo F. Toso, «rappresenta uno degli anelli che consentono la lettura dei documenti letterari in genovese secondo quella progressione che permette di organizzarli in una “storia” originale, di esperienze linguistiche, culturali e, in senso ampio, artistiche».
Descrizione della Liguria
L’anonimo autore fa una descrizione di tutto il golfo ligure, dalla Turbia fino a capo Corvo, confermando che, allora come oggi, quello sono i confini della Liguria.
Intorno cinta l’unna region: a Levante
Da la gran Magra e reverrà più oltra,
Estermina Propensa e Nisa da ponente
Varro fiume efuso a Nisa da le Alpe
Apre la porta a Italia, ma Liguria
da Pisa a Marsegia Tolomeo diparte.
Poi de’ Liguri divisi alchuni in furia
sonno restreti tra Varro e la Magra
e solo questa ogi è la Liguria.
Genua in triunfi maritimi e terrestre squadra,
ellata da illustri e gran cittadini,
de virtù e glorie hè porta e strada.
Oni loro aquisti e victorie
sono disceise da cittadin coronandi
del vincer si stessi e questo a ognun dà glorie
[…]
torniam a membri e virtù de Liguria
e chi va in freta si pentirà per axio:
se voi grandese impara patientia,
lasciamo Nisa de Savoia: posta
la proa in monte Apenino e tien la Turbia
memmorabile per aspere vie: mostra
Monacho porto come a Tolomeo piaque.
Cesare il vì scoglio inculto,
lo dè a Genua per termine, porta e spale.
Rochabruna di sopra due milia passa,
e Mentone con le alle in mare,
di fuste, galee e corso sun degna schiata.
[…]
Lo lato ultimo del golfo
è lo Corvo, cavo piantato a riparo de Magra.
Castele e migia ducento ò ben volto
circuendo el grande golfo de Liguria,
il quale grandi e tanto summi homi à
come udirai non andando in furia.
Traduzione italiana
L’intera regione è circondata tutto intorno: a Levante dalla gran Magra, della quale parleremo più oltre, a Ponente confina con la Provenza e con Nizza. Il fiume Varo, effuso a Nizza dalle Alpi, apre la porta d’Italia, ma Tolomeo colloca la Liguria tra Pisa e Marsiglia. In seguito i Liguri furono frettolosamente divisi fra il Varro e la Magra, e solo questa oggi è la Liguria. Genova, in virtù dei suoi trionfi marittimi e delle imprese del suo esercito in terra, innalzata da illustri e grandi cittadini, è porta e strada di virtù e di glorie. Ogni sua conquista e vittoria discendono da cittadini meritevoli di corona per aver saputo vincere sé stessi, e questo dà gloria a ognuno di loro.
[…]
Ma torniamo alle parti della Liguria e alle loro virtù, e chi ha fretta abbia modo di pentirsene: se vuoi la grandezza impara la pazienza, lasciamo Nizza di Savoia: posta la prua verso gli Appennini tiene la Turbia, memorabile per la vie impervie, a mostrare il porto di Monaco, che piacque a Tolomeo. Cesare, vedendo che era uno scoglio incolto, lo conferì a Genova come confine, porto e spalla. Roccabruna, che è più in alto a circa due miglia, e Mentone che ha le ali in mare, sono degnamente popolate da fuste, galee e corsari.
[…]
L’ultimo lato del golfo è costituito dal Corvo, penisola collocata a riparare la val di Magra. Duecento castelli e duecento miglia ho illustrato, navigando lungo il grande golfo di Liguria, il quale è abitato da uomini grandi ed eccelsi, come udrai se non andrai di fretta.
Segue un elogio dei liguri illustri e delle loro imprese, adducendo vari esempi del loro coraggio e della loro lealtà e abnegazione.
[…]
Luchin Vivaldo, rato de la bela dona,
ali pedi la hebe in caza aparegiata
discretamenti a porgege la vergogna
unde fose sucorsa in necesità e doglia
de soa exuriente famigia e del marito
chi era straciato in Catalonia,
Luchin denaro e grano li dè e ardito
dicendo: non patirò che constante
contra de mi e la fortuna te facia rende.
E come di costei fu impugnante
solicito ad averla per onia modo
fu de la belesa e castità de la dona difendente.
Traduzione italiana
[…]
Luchino Vivaldi, invaghito di una bella dama, quando la ebbe ai piedi, in casa, pronta a cedere a discrezione alle sue voglie, purche fossero soccorsi la sua famiglia bisognosa in stato di necessità e di dolore e il marito straziato in Catalogna, le diede denaro e grano e arditamente le disse: «non sopporterò mai che soltanto la sorte faccia arrendere la tua costanza davanti a me». E, pur avendola in mano, così come era stato disposto ad averla a tutti i costi, divenne invece difensore della bellezza e della castità della donna.