La grafia del genovese
Contenuti
Alfabeto
L’alfabeto genovese è quello latino. Oltre alle lettere comuni a tutte le lingue romanze, la lingua genovese adopera alcuni simboli aggiuntivi per rappresentare i suoi suoni caratteristici.
Lettera | Nome |
---|---|
A | a |
Æ | æ |
B | be |
C | ce |
Ç | çe |
D | de |
E | e |
F | effe |
G | ge |
H | acca |
I | i |
L | elle |
M | emme |
N | enne |
Ñ | eñe |
O | o |
P | pe |
Q | qu |
R | erre |
S | esse |
T | te |
U | u |
V | ve |
X | ixe |
Z | zitta |
Queste le lettere che si trovano nelle parole genovesi. In quelle straniere si possono trovare inoltre:
Lettera | Nome |
---|---|
J | i longa |
K | kappa |
W | doggia ve |
Y | i grega |
Vocali
I suoni vocalici del genovese sono rappresentati da:
Particolarità | Esempi | |
---|---|---|
A | Rappresenta il suono [a]. | amiga |
Æ | Rappresenta il suono [ɛː] della ‹e› aperta lunga. | æga |
Davanti a ‹n› però, la sua durata è breve. | taggiæn | |
E | Così come per il catalano e l’italiano, si può leggere aperta [e] o chiusa [ɛ], a seconda dei casi, anche con variazioni da persona a persona. | chen ~ |
EU | Questa combinazione rappresenta il suono [ø], come in francese. | ceuve |
I | Rappresenta generalmente il suono [i]. | mi |
Nei dittonghi, rappresenta la semivocale [j]. | seia , paise | |
Doppo ‹c› e ‹g›, ha generalmente la funzione di segno grafico e non si pronuncia. | paggia , sprescia | |
O | A differenza della maggior parte delle altre lingue romanze, in generale questa lettera è pronunciata talmente chiusa da avere il suono [u]. | no |
Ò | Quando ha l’accento grave, la ‹o› rappresenta invece il suono aperto [ɔ] tonico. | òmmo |
OU | Questa combinazione rappresenta il suono [ɔw]. Non si marca l’accento grave sulla ‹o› aperta, che sarebbe ridondante. | mangiou , poula |
U | Generalmente ha lo stesso suono [y] che ha anche in francese. | nua , figua |
Quando è atona nelle combinazioni consonante + ‹u› + vocale, rappresenta spesso la semivocale [w], come in italiano. | quella , ægua , constituî |
Queste le regole principali. Nei riquadri sottostanti, diamo qualche informazione aggiuntiva. Consigliamo di non perdere tempo ad impararle a memoria: sono nozioni che si imparano meglio in modo organico, leggendo e sentendo contenuti in genovese.
Approfondimento: la ‹o› aperta in posizione atona
Il simbolo ‹ò› si usa solo per indicare il suono della ‹o› aperta tonica, [ɔ]. Quando la lettera è atona, l’apertura del suono è meno marcata. Per questa ragione, e anche per non creare ambiguità, in posizione atona la lettera si scrive quindi ‹o›, senza l’accento: ommetto “ometto”, ottobre “ottobre”, ecc.
Approfondimento: dittonghi atoni -ao e -eo in fine di parola
La pronuncia delle parole che terminano con i dittonghi atoni -ao e -eo varia spesso da persona a persona. Per evitare situazioni dove delle piccole oscillazioni di pronuncia porterebbero alla nascita di una molteplicità di grafie diverse, per questi casi si mantengono le grafie tradizionali -ao e -eo.
Oltre a ciò, le terminazioni tradizionali permettono di vedere più facilmente la connessione con le forme plurali, che – independentemente dalla pronuncia del singolare – si pronunciano tuttora -ei [ej] e -ai [aj] rispettivamente.
Esempi:
- angeo [ˈaŋdʒɔw] ~ [ˈaŋdʒju] ~ [ˈaŋdʒew] “angelo”; plurale angei [ˈaŋdʒej];
- gambao [ˈɡaŋbɔw] ~ [ˈɡaŋbɔː] ~ [ˈɡaŋbaw] “gambero”; plurale gambai [ˈɡaŋbaj].
Approfondimento: dittongo atono au- nelle parole di origine greca e latina
Nelle parole di origine greca e latina, la pronuncia del dittongo atono au- varia spesso da persona a persona, o dal contesto. Per evitare situazioni dove delle piccole oscillazioni di pronuncia porterebbero alla nascita di una molteplicità di grafie diverse, per questi casi si mantiene la grafia tradizionale au-.
Esempi:
- autô [ɔːˈtuː] ~ [ɔwˈtuː] ~ [awˈtuː] “autore”;
- autoritæ [ɔːˈturitɛː] ~ [ɔwˈturitɛː] ~ [awˈturitɛː] “autorità”.
Approfondimento: combinazioni eu in alcune parole di origine greca
In quasi tutti i casi, la combinazione eu rappresenta il suono [ø]. Raramente, per alcuni casi di parole di origine greca, si possono avere pronunce diverse, con oscillazioni da persona a persona:
- reuma [ˈrewma] “reuma”;
- Euröpa [ewˈrɔːpa] ~ [ɔwˈrɔːpa] “Europa”;
- euro [ˈewru] ~ [ˈejru] “euro”;
- europeo [ewruˈpeːu] ~ [ɔwruˈpeːu] “europeo”.
Approfondimento: combinazioni consonante + ‹u› + vocale
In queste combinazioni, come si è visto sopra, la lettera ‹u› atona rappresenta il suono semivocalico [w].
Le rare eccezioni sono legate alle forme derivate da parole in cui la ‹u› è tonica. In questi casi, la lettera conserva un carattere simile e rappresenta il suono semivocalico [ɥ] (benché ci possano essere, in certi casi, oscillazioni di pronuncia). Per esempio:
- da figua [fiˈɡyːa] “figura” si avrà figuâ [fiˈɡɥaː] “figurare” e non [fiˈɡwaː], figuativo [fiɡɥaˈtiːvu] “figurativo” e non [fiɡwaˈtiːvu], ecc.;
- da seguo [seˈɡyːu] “sicuro” si avrà seguessa [seˈɡɥesˑa] “sicurezza” e non [seˈɡwesˑa], ecc.;
- da scuo [ˈskyːu] “scuro” si avrà ascuî [asˈkɥiː] “scurire” e non [asˈkwiː], ecc.
Lunghezza vocalica
In genovese, le vocali possono essere lunghe o brevi. Fortunatamente, nella maggior parte dei casi la lunghezza delle vocali è facilmente deducibile senza bisogno di usare simboli aggiuntivi per indicarla, che renderebbero la grafia onerosa da leggere e complicata da scrivere.
La lunghezza si segna quindi solo in quei casi in cui può risultare «inattesa», vale a dire quando la si sente di più. Si marca in due modi: col circonflesso ‹◌̂› e con i due punti ‹◌̈›.
Si marca la lunghezza: | |
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öxello , öo , cöse , ecc. |
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cantâ , camê , dormî , sô , mû , ecc. |
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mäveggia , pëteneuia , ïsemmo , dôçetto , ecc. |
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cäso , fäsci , ëse , vëgno , fïse , pôso , ecc. |
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cäi , vëi , ecc. |
Non si marca la lunghezza: | |
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atro e non ätro, Zena e non Zëna, dixan e non dïxan, vegnui e non vegnüi, oa e non ôa, ecc. |
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pòrto e non pörto, accòrdio e non accördio, sfòrso e non sförso, ecc. |
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amixitæ e non amixitâe, neuvo e non nêuvo, ecc. |
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mai e non mäi. |
Accento tonico
L’accento grave ‹◌̀› e acuto ‹◌́› si usano, come in catalano e in italiano, per indicare le sillabe toniche, ossia quelle più intense:
- l’accento grave indica le vocali toniche -à [ˈa], -è [ˈɛ], -ì [ˈi], -ò [ˈɔ] e -ù [ˈy];
- l’accento acuto indica le vocali tòniche chiuse -é [ˈe] e -ó [ˈu].
È necessario segnarli esplicitamente solo in pochi casi:
Si segna l’accento tonico: | |
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aloè , baxaicò , cafè , Canadà , Gexù , perché , voscià , ecc. |
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Maròcco , imbròggio , tòcco , ecc. |
Non si segna l’accento tonico: | |
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parlâ e non parlầ, sciorbettê e non sciorbettế, traduttô e non traduttố, ecc. |
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ma e non mà, se e non sé, ti e non tì, ecc. |
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cacciou e non cacciòu, poula e non pòula, oua e non òua, ecc. |
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parlo e non pàrlo, vedde e non védde, zeneise e non zenéise, ecc. |
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euggio e non éuggio, taggiæn e non taggiǽn, ecc. |
Approfondimento: eccezioni per la marcatura dell’acccento tonico
In pochi casi, si segnano gli accenti su alcune parole monosillabiche.
- Per convenzione storica, si segna l’accento sul sostantivo cà “casa” , sul pronome debole di cortesia scià , e sugli avverbi scì “sì” , sciù “su” , ciù “più” , là “là” , lì “lì” .
- Si usa l’accento per aiutare a distinguere chì “qui” avverbio da chi “qui” pronome, dà verbo da da preposizione, à verbo e preposizione da a articolo e pronome debole, é verbo da e congiunzione, stà verbo da sta “questa” aggettivo.
Approfondimento: accenti tonici facoltativi
In rari casi, può essere utile segnare gli accenti tonici per risolvere delle ambiguità, come tra càrrega “carica” e carréga “sedia”.
Dato che gli accenti rendono più ostica la lettura e la scrittura, e dato che in quasi tutti i casi le ambiguità si risolvono facilmente per mezzo del contesto in cui sono scritte le parole, l’uso degli accenti facoltativi è generalmente sconsigliato.
Approfondimento: l’accento sui verbi al futuro
Nelle forme della prima e della terza persona singolare della coniugazione dei verbi al futuro, vi sono forti oscillazioni di pronuncia da parlante a parlante sulla lunghezza della vocale tonica. Per convenzione, si scriveranno quindi con l’accento grave, senza marcatore di lunghezza: cacciò ~ “butterò”, caccià ~ “butterà”, travaggiò ~ “lavorerò”, travaggià ~ “lavorerà”, ecc.
Questa convenzione permette inoltre di distinguere più facilmente le forme dell’infinito come cacciâ “buttare” da quelle del futuro come caccià ~ “butterà”.
Consonanti
Generalmente, la rappresentazione delle consonanti in genovese è analoga a quella delle altre lingue romanze. Descriviamo qui le particolarità.
Particolarità | Esempi | |
---|---|---|
C | Si legge «dolce» [tʃ] davanti a ‹e› e ‹i›, e «dura» [k] davanti alle altre lettere. | cen , chen |
Ç | Si trova solo davanti a ‹e› e ‹i›, e rappresenta il suono [s]. | çerta |
G | Si legge «dolce» [dʒ] davanti a ‹e› e ‹i›, e «dura» [ɡ] davanti alle atre lettere. | gia , gæli |
GN | Si legge [ɲ], come in italiano. | besagnin |
H | È una lettera muta. Si usa solo nelle combinazioni che, cheu, chi, ghe, gheu, ghi per rappresentare i suoni della ‹c› e della ‹g› «dura». | chi , cheu |
M | Generalmente, rappresenta il suono della [m]. | mi |
Quando è davanti ad una consonante, si legge [ŋ] | tempo , campo | |
N | Generalmente, rappresenta il suono della [n] | neive |
Quando è davanti ad una consonante o in fine di parola, si legge [ŋ] | can , banco | |
Ñ | Si usa per indicare il suono [ŋ] davanti ad una vocale. | settemaña |
S | Come in italiano, è «sonora» tra vocali e davanti a ‹b›, ‹d›, ‹g›, ‹l›, ‹m›, ‹n›, ‹r› e ‹v›. | ingleise , reusa |
È «sorda» quando è scritta doppia, o quando segue una vocale che ha i due punti o il circonflesso. | fäso , pôso | |
In combinazione con la lettera ‹c›, quando è davanti a ‹e› o ‹i›, rappresenta il suono [ʃ]. | sciben , scioî | |
SCC | Questa combinazione rappresenta il suono [ʃtʃ]. | scceuppo , mescciua |
X | Rappresenta il suono [ʒ] della ‹j› francese. | caxo , xoâ |
Z | Rappresenta sempre il suono della ‹s› «sonora». | Zena , zimin |
Approfondimento: la lettera ‹ñ›
La lettera ‹ñ›, che rappresenta il suono della ‹n› velare davanti alle vocali, è usata in molte parole genovesi, quali persoña “persona” e æña “sabbia”.
Questa lettera era già in uso nel Seicento, ma raggiunse una diffusione ancora maggiore nei testi a stampa genovese a partire dal Settecento: la ritroviamo, per esempio, nella Gerusalemme deliverâ, nelle opere del De Franchi, nell’edizione del 1745 della Çittara del Cavalli, nei testi di Luigi Pedevilla (il Lunäio do sciô Tocca, la Colombiade, ecc.), nel dizionario di P.F.B., nelle strenne dell’Ottocento come O Balilla, negli scritti di Federico Gazzo (la sua traduzione della Commedia e altre opere), ecc.
A partire dai primi del Novecento, la ‹ñ› è stata usata sempre meno. È probabile che il motivo sia il fatto che questo simbolo non era presente nelle tastiere delle macchine da scrivere italiane, che proprio in quegli anni cominciavano a diffondersi in Italia (la Olivetti fu fondata nel 1908). Al posto della ‹ñ›, si usavano spesso alternative come ‹nn›, ‹nh› o anche ‹nn-›. Una situazione analoga, per l’italiano, è quella delle lettere maiuscole accentate: siccome le tastiere italiane non hanno i caratteri come ‹È›, si usava la combinazione ‹E’› al suo posto, soprattutto in ambiti informali, un’abitudine sopravvissuta fino ai nostri giorni.
Grazie alle nuove tecnologie, al giorno d’oggi è nuovamente possibile usare la lettera ‹ñ› con facilità. È in uso in tutti i progetti della nostra associazione; nella pagina genovese del quotidiano «Il Secolo XIX»; nelle riviste d’informazione «O Zinâ» e «O Stafî»; nelle collane di letteratura ligure Zimme de braxa, E restan forme e Biblioteca zeneise; e per tanti altri progetti di natura scientifica portati avanti anche a livello internazionale.
Consonanti doppie
In genovese – così come in francese ed in inglese, ma al contrario dell’italiano – le consonanti doppie generalmente non si pronunciano, ma sono presenti per ragioni etimologichce che testimoniano la storia e l’evoluzione della nostra parlata nei secoli.
L’unica eccezione è – nelle parlate della capitale e di altre zone centrali – per le parole piane (ossia, con l’accento tonico sulla penultima sillaba), che hanno la vocale tonica breve. In questi casi, le consonanti doppie dopo la vocale tonica si pronunciano con più intensità, ma sono comunque meno intense rispetto alle doppie italiane. In linguistica, queste consonanti sono dette semintense: doggio “doppio”, ombrissallo “ombelico”, rebecca “maglione”, ecc.
Bibliografia
A. Acquarone, Parlo Ciæo. La lingua della Liguria. Grammatica, letteratura, storia, tradizioni, De Ferrari, 2015.